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Luigi non sa decidere, ovvero sbaglia nelle scelte (parte seconda).

Per le scienze cognitive, abbiamo visto nella prima parte dell’articolo, le scelte decisionali prese dall’uomo sono appannaggio di una popolazione di neuroni, migrati, nel corso del neurosviluppo, nelle aree più anteriori del nostro cervello, in special modo nella porzione ventro-mediale di questa. Abbiamo visto come le neuroimmaging e la clinica (la storia di Phineas Gage) abbiano dato ulteriore forza a tale teoria.

In effetti, a ben riflettere, proprio le neuroimmaging e la clinica danno una forte spallata a tale modello teorico (area dei processi decisionali localizzata nelle regioni pre-frontali). Infatti, qualora sottoponessimo a fRMN un volontario mentre esegue il test delle figure ambigue, potremmo osservare che, ogni qualvolta questi passa da una percezione all’altra (viso vecchia/viso giovane, anatra/coniglio, vaso/volti, ecc.), anche se attiva le aree pre-frontali, non gode della facoltà di “decidere” quale delle due figure percepire. L’attivazione dei circuiti anteriori, dunque, si rileva fondamentale per acquisire la consapevolezza che sto percependo una scena differente, ma non per decidere cosa vedo. Allo stesso tempo, in clinica, si è visto come, l’approccio cognitivo/comportamentale non si sia rivelato capace di deviare il naturale decorso delle malattie del neurosviluppo, dopo più di venti anni di applicazione su larghissima scala (U.S.A.).

A mio avviso, per comprendere come gli esseri umani assumono decisioni e, dunque, per fare progressi ulteriori in clinica, bisogna “uscire dagli schemi”. I nostri schemi attuali sono la conseguenza di una errata interpretazione fatta su di noi stessi. Siamo prigionieri di una valutazione di partenza che considera l’uomo un essere pensante e razionale e, pertanto, capace di prendere decisioni grazie a tali requisiti. Eppure, pensiero, ragione e decisioni, rappresentano effetti, non cause. “Usciamo dagli schemi”, rientriamo nella natura, ovvero nel mondo. Se applicassimo al nostro problema : “come l’uomo decide cosa fare”, un modello biologico-evolutivo, potremmo avanzare nella comprensione ed uscire dalla palude in cui ci siamo spinti.

Applicare un modello biologico-evolutivo al nostro ragionamento significa ammettere che, in natura, qualsiasi forma vivente, per sopravvivere, deve prendere decisioni. Per un biologo la vita è movimento. Anche il restare immobili presume una presa di decisione. Forme viventi molto semplici (unicellulari) vivono da prima di noi e potrebbero sopravvivere a noi. Per fare questo significa che non sbagliano decisione, pur sprovviste di neuroni. Non vi sono dubbi sul fatto che, le loro scelte, più che da decisioni, sembrano regolate da disposizioni. Ma anche l’uomo, nelle prime fasi della sua vita, pur possedendo 100 miliardi di neuroni, risponde a disposizioni, più che a decisioni. Ancora una volta, ci appare evidente come, non sembra una questione esclusiva di neuroni, nè tanto meno di neuroni speciali, come non lo è di una sostanza speciale (la dopamina). Anche per quest’ultimo aspetto, la clinica ha demolito le ipotesi cognitiviste (modulo delle decisioni), infatti, l’uso di farmaci che abbassano i livelli di dopamina (ritalin), non modificano le “scelte” dei bambini iperattivi. Secondo il modello biologico-evolutivo, ovvero secondo l’approccio  biocognitivo, per comprendere come Luigi ha preso la decisione di scegliere il gelato al gusto cassata, di rovesciarlo sul banco o sul pavimento al fine di togliere i canditi e, poi, mangiarlo, non è sufficiente guardare dentro un suo organo, nè tantomeno in una piccola area di questo. E’ necessario, invece, prestare la massima attenzione a tutta la storia di Luigi, fin dall’origine (gestazione). E’ questa storia che ha modellato il suo sistema nervoso, organizzandolo e riorganizzandolo infinite volte, fino a quando è entrato in quel bar ove ha visto il gelato a cassata, e, senza il quale, i suoi circuiti neurali, ampiamente rappresentati in tutto il suo cervello, non avrebbero preso una decisione così bizzarra, da lasciare interdetto chi ha assistito alla scena, e gettato, per l’ennesima volta, i genitori nello sconforto più profondo.

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