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Dal comportamento difensivo al sentimento di paura

E’ sempre utile precisare che emozioni distinte vanno studiate come unità funzionali distinte e, dunque, riferibili a neurostati, ovvero a circuiterie neurali differenti. A quest’ultimo livello, possiamo affermare che, ogni unità emotiva (paura, gioia, rabbia, ecc.) va considerata come un insieme di segnali in entrata (suoni, odori,aspetti visivi, ecc.), una moltitudine di aree neuronali associative e un insieme di segnali in uscita. Nel corso dell’evoluzione si sono selezionati i circuiti neuronali, ed in parte la loro organizzazione, al fine di captare determinati segnali in entrata o stimoli scatenanti, capaci di attivare la rete neuronale. Alcuni di questi stimoli possono essere chiamati anche inneschi naturali poichè, già “vedendoli” la prima volta, la specie preda possa riconoscere il predatore quale fonte di pericolo. Inoltre, molti altri stimoli vengono “appresi” nel corso della vita, grazie all’esperienza o processo di apprendimento (inneschi appresi). Quello che di sicuro accade è che, quando i segnali in entrata (naturali o appresi) vanno ad attivare le aree neuronali specifiche, a cui sono collegati, e che si trovano distribuite a vari livelli del S.N.C., verranno messi in atto alcuni modelli di risposta utili al fine di mantenere in vita l’organismo. Questi comportamenti emotivi/difensivi si sono evoluti molto prima dei sentimenti consapevoli (conosco che sto provando paura), i quali richiedono ulteriori aree corticali. I comportamenti difensivi garantiscono la sopravvivenza davanti al pericolo. L’uomo, raggiunto un determinato sviluppo ontogenetico (24-36 mesi), comincia a manifestare anche il sentimento di paura. Quest’ultimo rappresenta un ulteriore sottoprodotto evolutivo di due sistemi neuronali, uno che media il comportamento difensivo e l’altro che genera la consapevolezza di se stessi e di ciò che si sta sperimentando. In ultima analisi, possiamo affermare che, provare paura può essere utilissimo ma non è la funzione che l’evoluzione ha programmato nel sistema neuronale di difesa.

Se si presenta ad un ratto cresciuto in laboratorio  e, dunque senza che ne abbia mai avuto esperienza un gatto, esso si ferma immediatamente, voltandosi verso di lui. A seconda del fatto che siano in uno spazio aperto o chiuso, lontani o vicini, il ratto si immobilizza o cerca di scappare. Se dovesse essere preso dal gatto emette dei suoni e, a sua volta, finisce per attaccare. Esiste una straordinaria corrispondenza funzionale delle reazioni di paura tra ratto, essere umano, e tutti gli  altri mammiferi. Inoltre, in animali diversi sono simili, non solo questi modelli generali di comportamento, ma anche i relativi cambiamenti fisiologici che si producono in situazioni di pericolo o di stress. Infatti, si sa che i calciatori, durante una partita di calcio agonisticamente combattuta, non si accorgono di traumi che, in altri contesti, sarebbero molto dolorosi. Allo stesso tempo, il ratto minacciato dal gatto non si accorge di scottature della coda (il gatto rappresenta un pericolo maggiore della scottatura, pertanto viene soppresso il dolore per affrontare il rischio maggiore). Negli uomini, come nei mammiferi, l’analgesia indotta dal pericolo, senza la necessità o la capacità di renderlo consapevole (sentimento di paura), è una conseguenza dell’attivazione del sistema cerebrale degli oppiacei naturali. Quando alcune aree cerebrali sono stata attivate dagli induttori del pericolo (ricordiamolo sempre, questo può verificarsi solo attraverso i canali sensoriali), attraverso i nervi del sistema nervoso autonomo vengono inviati messaggi agli organi, al fine di regolarne l’attività per adattarla alle nuove esigenze. I nervi che giungono ai visceri, al cuore, ai vasi sanguigni ed alle ghiandole salivari e sudoripare producono la sensazione di stomaco teso, tachicardia, ipertensione, bocca secca, sudorazione profusa delle mani e dei piedi. Quando l’uomo raggiunge un sufficiente livello di Organizzazione Neurologica (collegamenti sufficienti tra aree associative anteriori e posteriori della corteccia) si genera in lui l’abilità di riconoscersi “pauroso”.

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