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Alla scoperta del bambino autistico, l’interpretazione di una giovanissima neuropsicomotricista

Quanto state leggendo è stato scritto dalla dottoressa Federica Cammilli, neuropsicomotricista, iscritta al primo anno del Master sulla Metodologia Delacato anno 2017/2019. A lei, come agli altri studenti del corso, è stato chiesto di scrivere un commento al libro del dottor Carl H. Delacato “Alla scoperta del bambino autistico”

 

 

La premessa che Delacato fa all’inizio del libro, è che si tratta di un viaggio personale nel mondo dell’autismo. Già dalla prima frase trovo una somiglianza. Anche il mio è un viaggio personale nel mondo dell’autismo. Questo mi dà una speranza nuova, diversa: questa volta sta parlando qualcuno che ha voluto entrare nelle vite di queste famiglie per cercare di aiutare i loro bambini, ha voluto studiare sul campo la realtà, chiedere ai genitori, parlare con loro, confrontarsi, chiedere aiuto. Non ha voluto studiare l’autismo su un libro, rimanere dietro una scrivania, mettere le distanze tra se stesso e i genitori, o ancora di più, il bambino. È voluto entrare nella vita di questi bambini e delle loro famiglie. Per dare una speranza nuova, diversa, per dire che all’istituzionalizzazione c’è un’alternativa. Questo accadeva quando Delacato cominciò ad occuparsi di autismo: solo diagnosi e una prognosi infausta. Ad un certo punto il ricovero in istituto sarebbe stato inevitabile. Gli anni sono passati, la ricerca è andata avanti, ma le cose non sono poi tanto cambiate. Coloro che non vengono compresi, soprattutto quelli che vengono ritenuti i casi più gravi, finiscono in un istituto, lontani dalla famiglia, con chissà quale qualità e speranza di vita. Perché le cose non sono cambiate? Perché c’è così tanta ostilità a considerare il pensiero di Delacato? Perché non si cerca di spogliarsi di tutti i pregiudizi così da poter capire cosa propone Delacato per l’autismo, oggi, nel 2017, quando anche il DSM-5, l’ultima versione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, riporta tra i criteri per la diagnosi anche “iper-reattività e/o ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi inusuali ad aspetti sensoriali dell’ambiente: apparente indifferenza al caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o tessuti specifici, eccessivo odorare o toccare gli oggetti, fascinazione verso luci o oggetti roteanti”? Perché non ci si domanda cosa sono le stereotipie e perché queste non spariscano dopo trattamenti terapeutici, che siano neuropsicomotori o cognitivo-comportamentali? Si continua ad ignorare il problema più grande nell’autismo, che paradossalmente è anche il più evidente, anzi eclatante: le stereotipie. Questo ci fa capire che non è cambiato poi tanto da quando Delacato scriveva il suo libro in cui dava una nuova, per molti folle, interpretazione dell’autismo.                                   Il dott. Parisi dice che la scienza è un percorso verso la verità e non potrei non essere d’accordo. Ma dobbiamo sentirci tutti in cammino verso nuove conoscenze, scoperte, consapevolezze. Molti ritengono che la scienza possegga la verità. Ma come facciamo a progredire, continuando quell’evoluzione che dura da milioni di anni, se riteniamo già di sapere tutto, che le nostre conoscenze non possano subire delle modifiche? A tal proposito è stata illuminante la storia di Raymod Dart, l’antropologo che affiancò Delacato nel suo lavoro alla scoperta dell’autismo. Dart affermò, nel 1925, che possedeva il cranio del primo progenitore dell’uomo, l’Australopithecus Africanus. In quel periodo tutti sapevano che l’uomo era nato in Asia circa 100.000 anni fa. La scoperta destò scalpore e Dart fu accusato di essere un pazzo. Ma lui continuò a scrivere, ignorando chi lo criticava. Quarant’anni dopo, grazie al metodo di datazione potassio-argo, fu appurato che Dart aveva ragione e che la sua scoperta era vera. Non mi pare un caso che sia stato messo al fianco di Delacato, in fondo si stanno rivelando due storie più simili che mai. Ma in fondo penso che questo sia successo tante volte nella storia. Penso a Galileo Galilei e a tanti altri. Uomini che sostennero idee e teorie che oggi sono alla base delle nostre conoscenze scientifiche. Questo mi fa pensare che sia la sorte di chi è troppo avanti con i tempi, quella di non essere compreso, anzi completamente screditato e messo al bando per le sue scoperte. Ma se la scienza è un percorso verso la verità, perché non ci apriamo alle nuove idee, scoperte, teorie, dimostrazioni, anche se sembrano uscire dal seminato? Questo è quello che ha fatto Delacato, è uscito da tutte le strade precedentemente tracciate. La sua intuizione geniale è stata quella di interpretare le stereotipie come un grido: il grido di aiuto di chi non sa come altro fare per esprimere un bisogno, un’esigenza, un malessere. Un grido che nascondeva una lesione cerebrale e non una psicosi: questa lesione cerebrale causava problemi percettivi che distorcevano il mondo reale nel cammino dal recettore al cervello. Ma soprattutto la lesione faceva sì che le loro percezioni sensoriali non fossero mai abbastanza. Da qui l’esigenza di ripetere, inseguire sempre le stesse sensazioni, più e più volte: prigionieri delle loro stesse sensazioni di cui non riescono mai ad essere sazi. A causa del suo sistema sensoriale inattendibile, non avendo controllo su di esso, preferisce controllare gli input in entrata e permette di entrare solo a quelli che sa controllare da solo, il resto lo respinge perché caotico. Rimane così intrappolato sempre allo stesso livello di funzione sensoriale. Quelle funzioni che, rispettivamente per ogni senso (vista, udito, tatto, olfatto e gusto) Delacato capì che potevano essere iper, cioè aumentate, ipo, ovvero diminuite, o ancora soggette a rumore bianco, un’interferenza interna costante. Così, una volta capito in quale canale fosse il problema e di che tipo si trattasse, rimaneva solo da normalizzare quel canale offrendo l’esperienza e la giusta stimolazione attraverso quella via in modo da cambiare il comportamento del bambino per poi passare al secondo stadio, alla cura centrale, ovvero quella che avrebbe permesso al bambino di essere il più possibile integrato nella società.                                                                                                                                                                                              La strada e il lavoro di Delacato non furono certo facili, in un periodo in cui si sapeva ben poco dell’autismo. Non fu facile neanche parlare della sua teoria, ebbe anche lui dubbi, incertezze, momenti di sconforto. “È giusto offrire un nuovo approccio che può non essere valido per tutti? È giusto sollevare false speranze?” chiedeva parlando con il suo amico Raymundo Veras. “Guarda Carl, là, sulla montagna. È Cristo. È il nostro simbolo. Le sue braccia tese sono il simbolo quotidiano della speranza per tutto il nostro popolo, di tutte le religioni. E dovremmo tirar giù il nostro Cristo dalla montagna, ogni volta che la speranza non è ricompensata? Carl, noi tutti ne abbiamo bisogno: questi bambini e i loro genitori. Non esiste cosa che si chiami falsa speranza! C’è soltanto il fallimento nel cammino verso la speranza! Ecco perché esiste il domani: è un’altra possibilità di realizzarla”. Questa fu la risposta di Veras. Non esiste falsa speranza, esiste un cammino e un domani in cui poter realizzare e costruire questa speranza.

1 commento a Alla scoperta del bambino autistico, l’interpretazione di una giovanissima neuropsicomotricista

  • Luisa Pucci

    Abbiamo bisogno di tante dottoresse come Federica Cammilli e di tanti dottori come Antonio Parisi…per rendere migliore il cammino dei ragazzi con diagnosi di autismo!

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