Uncategorized

Cosa fa il cervello quando non fa niente?

“A cosa stai pensando? A niente in particolare, fantasticavo!  ”

Un dialogo comune, banale, ove non sembra esservi energia nervosa coinvolta.

Eppure, sarebbe troppo riduttivo supporre che il nostro cervello sia inattivo quando ci sembra di non far niente, se non far divagare la nostra mente. Il cervello sta sempre facendo qualcosa, anche quando abbiamo l’impressione che non sia così.

Grazie all’elettroencefalografia si è scoperto che il cervello non è mai quiescente e che le sue onde ritmiche non cessano mai. Anche quando divaga, così quando dorme profondamente, il suo E.E.G. continua a mostrare attività elettrica, anche se di tipo diversa tra di loro e tra quando siamo concentrati su di un compito. Solo con la morte il tracciato si appiattisce (scomparsa delle oscillazioni cerebrali).

Fino a poco tempo fa, stabilire esattamente cosa facesse il cervello in stato di veglia quando divaga era un compito difficile. Da un decennio, i neuroscienziati hanno scoperto una rete all’interno del cervello che entra in funzione in assenza di pensieri connessi agli stimoli sensoriali (pensieri diretti dall’interno) ed hanno chiamato questa rete neuronale “rete cerebrale di default”. Tale circuiteria è molto attiva ogni volta che la nostra attività mentale (psicostato) interessa immagini che “vedono” noi stessi in situazioni ipotetiche, ed anche quando ci immaginiamo nei panni altrui. Allo stesso tempo, l’attività elettrochimica della rete (neurostato) diminuisce quando prestiamo attenzione agli stimoli sensoriali.

Durante la nostra giornata, in ogni istante, si svolge una competizione tra circuiterie neuronali che ci spingono a fantasticare e quelle che tendono a farci stare attenti al mondo esterno.

Quello che assume particolare importanza per il blog: “autismo fuori dagli schemi” è che, secondo quanto sostenuto da Michael Corballis, il cervello, nel “consentire alla mente” di divagare, svolge un compito fondamentale. Infatti, per Corballis, il linguaggio va interpretato come uno sviluppo della capacità di gesticolare, coniugata con la capacità di divagare. Per Corballis, propedeutico al linguaggio, vi è la capacità di compiere movimenti volontari e il loro fine controllo, ovvero di produrre gesti. Questi sono volontari, richiedono un repertorio ed uno sviluppo fine, dettato dal controllo, inoltre, sono rivolti agli altri individui del gruppo. Pertanto, l’uso dei segni gestuali consente di dare alla “mente vagante” la possibilità di simbolizzare cose assenti.

L’ipotesi che il linguaggio si sia sviluppato dalla gestualità e non dall’oralità è oramai accettata dalla comunità scientifica, ed affascinante, per gli sviluppi neurofisiologici (rete del default labile nei soggetti con autismo per la loro ipersensorialità), appare l’ipotesi che il linguaggio si sia sviluppato a partire dall’incontro tra la gestualità e la capacità di consentire alla mente di divagare, astraendosi dal contesto.

Contrariamente a quanto sostenuto da Noam Chomsky, il linguaggio non marca una radicale discontinuità nelle facoltà cognitive degli esseri viventi (ipotesi creazioniste). Oggi, quello che è chiaro è che, il linguaggio sia generato da uno sviluppo in qualche modo continuo.

Ancora una volta la scienza crea una distanza enorme tra i cognitivisti ed i biologi evoluzionisti.

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*