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“Autismo”: intervista al dottor David F. Delacato

Ieri, lunedì 12 febbraio, presso l’Università di Fisciano (SA), il dottor David Delacato ha partecipato al 1° International Symposium: Il bambino autistico a scuola, le anomalie comportamentali e dell’apprendimento didattico in relazione con i disturbi senso-percettivi-motori. L’evento è stato organizzato dal dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione, con la sapiente direzione del Prof. Maurizio Sibillio e del prof. Felice Corona. Nell’occasione, il blog ha intervistato il dottor D.Delacato.

Dottor D. Delacato, lei è il figlio del dottor Carl H. Delacato famoso neuroscienziato ed esperto di autismo. Quanto è stato faticoso per lei “occuparsi” di autismo, visto l’inevitabile paragone con suo padre?

Tantissimo. Forse, a ben pensarci, poco. In effetti avevo cinquant’anni quando mio padre, per motivi di salute, smise di visitare bambini. Fino ad allora, per un ventennio, avevo lavorato al suo fianco, occupandomi dell’aspetto neuroriabilitativo e della ricerca di “esercizi” capaci di migliorare il quadro clinico dei nostri pazienti. La personalità di mio padre era tale da consentirmi di portare avanti la ricerca a fari spenti, senza molta pressione, e questo è stato fondamentale per la mia crescita umana e professionale. Quando, nel 1999, per motivi di salute mio padre smise di lavorare, sentii un enorme peso sulle mie spalle. Il confronto con lui era inevitabile ed in parte non poteva che penalizzarmi. Pian piano tutto questo è passato, oggi ancora raccolgo solamente i vantaggi di essere il figlio di Carl.

Suo padre ha davvero scritto qualcosa di importante per l’autismo?

Quando mio padre iniziò ad occuparsi di autismo (anni sessanta dello scorso secolo) tutti sostenevano le ipotesi dinamiche. Il soggetto autistico era ritenuto un paziente psicotico. Carl rifiutò da subito tale ipotesi diagnostica, per lui si trattava di un problema di neurosviluppo. Intuì che un disordine percettivo potesse alterare il processo di Organizzazione Neurologica. Quanto scritto nel DSM V e, soprattutto, quanto quotidianamente pubblicato dai neuroscienziati ha confermato in pieno le sue intuizioni sull’autismo.

In effetti, quotidianamente leggiamo di pubblicazioni scientifiche che parlano dei danni sensoriali negli autistici eppure, nelle bibliografie Delacato è citato raramente?

All’inizio mio padre avvertì l’esigenza di scrivere e pubblicare le sue idee. In pochi anni pubblicò testi, sia sull’organizzazione Neurologica, che sulla dislessia e sull’autismo. Purtroppo, la comunità scientifica americana di quegli anni restò prigioniera dei propri pregiudizi. Come ha affermato Einstein, risulta più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Al contrario, i genitori dei soggetti con disordine dello sviluppo neurologico mostrarono notevole interesse per le sue idee. Per tale motivo smise di scrivere e dedicò tutto il suo tempo ad aiutare bambini.

Lei da molti anni viene periodicamente in Italia, quali differenze sostanziali ha osservato, tra gli U.S.A. ed il nostro paese, nel prendersi cura dei soggetti autistici?

Premesso che non esiste, ad oggi, un modello vincente, posso dire che osservo alcune significative differenze. In Italia, pur essendo riconosciuto l’autismo quale problematica biologica, pochissimi bambini effettuano esami diagnostici. In America, ogni bambino con autismo si sottopone a periodici esami di laboratorio, ad elettroencefalogrammi ed a Risonanze Magnetiche. Inoltre, in America vi è una pluralità di trattamenti, mentre in Italia più del novanta per cento dei bambini con autismo esegue lo stesso protocollo terapeutico (in questo momento A.B.A.), e, questo, non facilita la ricerca.

A proposito di A.B.A., quale modello terapeutico è più prescritto attualmente nel vostro paese?

Come dicevo, noi abbiamo una varietà di proposte terapeutiche, il compito del tecnico è quello di informare la famiglia su tali approcci, affinchè il genitore possa fare la migliore scelta per il proprio figlio. Attualmente è calata la richiesta del cognitivo-comportamentale, mentre aumentano sensibilmente le proposte di integrazione sensoriale attraverso le terapie occupazionali. Anche il biomedico sta riscuotendo un notevole successo, mentre i neurolettici vengono utilizzati sempre meno.

Lei pensa che un approccio cognitivo-comportamentale non sia utile per curare un bambino autistico?

Penso che questo non rappresenti un buon modo di porre la domanda. Le cure prescritte dipendono da una varietà di fattori. Penso solamente che trovo molto buffo il fatto che, trenta anni fa, il cervello era considerato una scatola nera, incomprensibille, ed a tutti i bambini autistici italiani veniva prescritta la riabilitazione (psicomotricità, logoterapia, fisioterapia), ovvero una strada per modificare la struttura e la funzione del cervello, sfruttando la sua plasticità. Oggi, che grazie agli esami di indagine conosciamo abbastanza sul cervello, a tutti i bambini autistici italiani viene prescritta una terapia fatta di rinforzi e punizioni. Questo è strano, poco in linea con i tempi.

Tornando per un attimo alle intuizioni di suo padre, lei non pensa che sia riduttivo parlare di ipo, iper e rumore bianco nell’autismo?

Mio padre ha avuto un grandissimo merito non ancora del tutto compreso dagli addetti ai lavori. Cinquanta anni fa, insieme, ma in maniera indipendente, ad un suo collega sovietico, il neuropsicologo Lurja, richiamò l’attenzione dei tecnici non sui deficit ma sui disordini. I bambini autistici di mio padre, come i post-traumatizzati di Lurja, non evidenziavano deficit ma ipersensorialità, ovvero disordini. Hanno contribuito a demolire il concetto di ritardo mentale.

Dunque, il ritardo mentale  esiste?

Assolutamente no.

Cosa ci permetterà di conoscere meglio l’autismo?

Il concetto di Organizzazione Neurologica-

 

Grazie dottor David Delacato, è stato un piacere ed un onore intervistarla.

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