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Riflessioni scientifiche sui disturbi del linguaggio nei soggetti con autismo.

Di sicuro il linguaggio è una delle caratteristiche che maggiormente contraddistingue l’essere umano, pertanto, non meraviglia che i neuroscienziati, da tempo, stiano cercando di capire come si sviluppa e cosa succede nei nostri cervelli nel corso di un normale dialogo.

Sullo sviluppo del linguaggio, quello che sappiamo con certezza, è che dipende dall’organizzazione neurologica e da quella muscolare.

Un neonato di due mesi produce dei leggeri vocalizzi; verso i tre-quattro mesi è capace di produrre lallazione (lo si può udire ripetere da solo lo stesso suono, ta-ta-ta, go-go-go).

Tra i sei ed i dodici mesi  i cuccioli d’uomo producono coppie di sillabe (balbettano) a cui, con l’aiuto degli adulti, inizieranno ad associare i primi significati.

Tra i diciotto ed i ventiquattro mesi compaiono frasi di massimo due parole.

Dunque, fino ad un anno e mezzo i bambini non parlano.

Questo significa che molti bambini con disordine dello sviluppo non parlavano e poi smettono di farlo, tuttalpiù producevano vocalizzi e semplici parole per poi non riuscire a farlo più.

Quello che di recente abbiamo conosciuto e che riveste notevole importanza, è che il bisogno ed il desiderio di comunicare sorge nei bambini prima che l’apparato foniatrico consenta loro di pronunciare delle parole. Poichè il bisogno di comunicare insorge precocemente, tornano utili le abilità motorie che a quell’ età sono più sviluppate di quelle linguistiche.

Due studi offrono lo spunto per portare, all’attenzione delle lettrici e dei lettori del blog, conoscenza sul cosa faciliti un normale sviluppo del linguaggio.

Dal primo studio emerge che, messi a confronto un gruppo di bambini di undici mesi a cui era stato insegnato il linguaggio dei segni per tre anni, da parte dei genitori, con un gruppo di altrettanti bambini non istruiti in tal senso, i bambini che venivano incoraggiati ad esprimersi con la gestualità presentavano una comunicazione più ricca, sia verbale che non verbale.

Da un altro studio si evince che, i cuccioli d’uomo sovraesposti allo schermo televisivo nei primi tre anni di vita mostrano uno sviluppo del linguaggio rallentato rispetto ad i loro coetanei che non erano stati esposti allo schermo, ma era stata privilegiata la relazione umana e la motricità.

Ancora più interessante, a mio avviso, è quanto si sta iniziando a conoscere sugli aspetti dell’attività cerebrale durante una conversazione.

Durante un dialogo, di solito, le persone si alternano evitando di accavallarsi (fanno eccezione i talk show televisivi).

Si è notato che, già i neonati, pur producendo suoni vocali privi di contenuti, si alternano “parlando” con la persona di riferimento.

Questa alternanza tra soggetti coinvolti nel dialogo sembra essere universale, come universale sembra essere il tempo di pausa prima che intervenga il parlante B, dopo che il parlante A ha terminato (UN QUINTO DI SECONDO).

UN INTERVALLO DAVVERO BREVE.

Siccome parlare è intuitivamente molto complicato dal punto di vista neurobiologico, questo dato complica ulteriormente le cose.

Infatti, senza considerare il contenuto, solo per il fine controllo motorio della lingua e delle corde vocali al cervello serve un tempo più lungo di un quinto di secondo e, dunque, questo significa che ascoltare e pianificare devono verificarsi contemporaneamente (questo potrebbe essere un grosso problema neurobiologico per i soggetti autistici).

Grazie ad un ingegnoso esperimento fatto presso la Princeton university nel 2010 con l’uso della risonanza magnetica funzionale, Uri Hason ha dimostrato che si stabilisce uno “stretto accoppiamento” tra l’attività cerebrale degli ascoltatori e del parlante.

Questo accoppiamento compare, oltre che nei centri del linguaggio situati nell’emisfero sinistro del cervello, nelle parti anatomiche corrispondenti sul lato destro che hanno una stretta correlazione con la comprensione del linguaggio nella vita reale.

Quando parliamo con l’altro, qualunque cosa questo dice, noi la interpretiamo in linea con la nostra aspettativa.

Grazie all’uso dell’e.e.g. si è visto che, un ascoltatore continua ad ascoltare quando inizia la pianificazione verbale, facendolo con la stessa attenzione di prima, per mezzo della SINCRONIZZAZIONE di una moltitudine di aree cerebrali, sia motorie che sensoriali.

E’ grazie a tale ORGANIZZAZIONE che il cervello degli ascoltatori che preparano una risposta reagisce agli errori del parlante proprio come qualcuno che segue solamente le parole pronunciate.

Dunque, il linguaggio richiede, per il suo normale sviluppo, una perfetta sincronia tra aree cerebrali sensori-motorie disseminate su gran parte dell’encefalo, mentre, per il suo corretto uso comunicativo, richiede una forte sincronia tra l’attività cerebrale di chi ascolta e quella di chi parla.

Nei bambini con disturbo dello spettro autistico, vista l’età di insorgenza dei sintomi (all’incirca 18 mesi), la desincronizzazione deve essere già manifesta al primo livello (sensori-motorio), con consequenziale desincronizzazione anche al livello succesivo (intercerebrale).

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