Uncategorized

2019: autismo,da quali certezze si parte?

Sono trascorsi settantasei anni dalla prima diagnosi di “autismo” e molte cose si sono conosciute in questi anni, anche se altre restano ancora difficili da comprendere.

Ad esempio, sappiamo con certezza che il quadro clinico tipico dell’autismo è secondario ad un’anomalia cerebrale, ma ancora non sappiamo, in molti casi, cosa l’abbia provocata.

Attraverso il blog “autismo fuori dagli schemi”, in questo primo articolo del nuovo anno, voglio fare il punto della situazione, sottolineando quali certezze scientifiche abbiamo conquistato sull’argomento.

Con la convinzione che è proprio da tali conoscenze che bisogna partire qualora volessimo ottenere nuovi ed importanti risultati.

E’ sempre bene ricordare che, fino agli inizi degli anni ottanta e, dunque, per quarant’anni, il mondo accademico mondiale ha sostenuto una sola ipotesi eziopatogenetica per l’autismo infantile: quella psicodinamica.

Anche se sporadici autori (Rimland, Delacato), agli inizi degli anni settanta, attribuivano l’autismo ad una cerebrolesione dell’età evolutiva, per il mondo scientifico le cause erano da ricercarsi in un’affettività materna e, dunque, lontane dal cervello del bambino autistico.

Dalla metà degli anni ottanta molti studi scientifici hanno iniziato ad analizzare le particolarità cerebrali dei pazienti autistici ed a paragonare tali particolarità con i risultati delle indagini strumentali ottenute da soggetti non autistici.

Il tutto associato ad “una maniera più obiettiva di fare l’osservazione”.

Si abbandonavano, definitivamente, le indagini sulla relazione madre-figlio, mentre si iniziava a focalizzare l’attenzione sul cervello degli autistici.

Per i limiti di risoluzione spaziale dei tomografi e delle risonanze magnetiche di quegli anni, le prime attenzioni si focalizzarono su due grosse strutture neuronali: il corpo calloso ed il cervelletto.

Infatti, in molti soggetti con autismo, veniva riscontrato un corpo calloso più sottile della media delle persone (agenesia parziale o totale del corpo calloso), mentre il cervelletto veniva trovato talvolta più grande, altre volte più piccolo.

Il fatto di rilevare il più grande fascio di connessioni neuronali tra i due emisferi del cervello (corpo calloso) di dimensioni ridotte fece emergere l’idea secondo la quale, l’autismo fosse secondario ad un problema di integrazione di processi neuronali sostenuti da reti di neuroni distanti le une dalle altre.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda il coinvolgimento del cervelletto.

Infatti, questo dato faceva germogliare una moltitudine di ipotesi scientifiche, generando entusiasmo nei ricercatori del tempo, sulla genesi dei disturbi della coordinazione motoria, della motricità fine o del linguaggio, tipici dei disturbi dello spettro autistico.

Intanto, le neuroscienze dimostravano che il nostro cervello è “plastico” anche nell’età adulta.

Questo significava che, a qualsiasi età, le “sinapsi”(comunicazione tra neuroni) possono generarsi, degenerarsi, rafforzarsi, indebolirsi, il tutto in funzione delle trasmissioni elettrochimiche tra neuroni, ovvero, dell’attività sensori-motoria o esperienza dell’organismo.

L’attenzione dei ricercatori si spostava dall’analisi delle macroaree cerebrali (corpo calloso, cervelletto, lobi frontali) a quella dei circuiti cerebrali e della loro integrazione, ovvero, delle sinapsi.

Si comprendeva che, più un circuito neuronale è utilizzato, più le cellule nervose e le sinapsi che lo costituiscono risultano rinforzate, solidificate. Allo stesso tempo, meno un circuito risulta sollecitato dall’esperienza dell’organismo, più le sue cellule nervose e le sinapsi risultano indebolite, potate.

Questo a significare che, sia gli stimoli sensoriali, sia l’attività cerebrale enterocettiva, sia l’attività elettrica spontanea prodotta dal cervello, aumentano o riducono la connettività neuronale (connettoma) modulando il numero e la forza delle sinapsi.

Ovviamente, mi sembra superfluo sottolineare, sia in termini di prevenzione dei comportamenti autistici che di trattamento degli stessi comportamenti, quanto sia fondamentale questa conoscenza.

I comportamenti autistici vanno scoraggiati sul nascere (impedire il rafforzamento dei circuiti anomali), ma non con l’evitamento attraverso premio o punizione, bensì attraverso la genesi di circuiti neuronali più funzionali e, dunque, attraverso l’esperienza riabilitativa.

L’aver (mondo scientifico) focalizzato l’attenzione sulle sinapsi ha, inevitabilmente, aperto una finestra sulle cause di tali anomalie.

Se i sintomi dell’autismo trovano la loro spiegazione nel fatto che il cervello delle persone autistiche è differente (VERITA’ SCIENTIFICA!), questo potrebbe significare che, almeno in parte, l’autismo abbia una origine genetica (VERITA’ SCIENTIFICA DA COMPRENDERE MEGLIO).

Dire che la circuiteria neuronale (connettoma) di un bambino autistico sia anomala per un “difetto” di informazione genetica non significa necessariamente che il difetto sia stato trasmesso dai genitori.

Le mutazioni di geni, riscontrabili in alcuni casi e che potrebbero provocare la patologia in quanto giocano un ruolo nella comunicazione cerebrale, nella maggioranza dei casi non si ritrovano nel DNA dei genitori.

Pertanto, il perturbamento della trasmissione delle informazioni tra cellule nervose a livello delle sinapsi, qualora fosse da attribuire a difetto dell’informazione genetica, renderebbe necessario un supplemento di indagini al fine dell’identificazione di quei fattori ambientali (EPIGENETICI) che avrebbero determinato la mutazione.

Senza mai dimenticare che, fattori infiammogeni endogeni possono contribuire ad alterare il connettoma attraverso un’alterazione del processo di mielinizzazione dei circuiti (microglia).

Ci sono tutte le premesse per un “AFFASCINANTE 2019”.

Auguro ai lettori del blog di essere attori, e non spettatori, di questo grande cambiamento.

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*