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La biologia molecolare ci aiuterà a svelare i segreti del comportamento autistico

Non possiamo non ritenerci fortunati.

Infatti, rispetto a tutte le epoche che ci hanno preceduto, viviamo in un’era ove i cambiamenti sono velocissimi.

Anche la scienza non sfugge a tale regola.

Prendiamo la genetica: sino a qualche anno fa dominava il concetto lineare che guardava al singolo gene come ad un protagonista assoluto (un gene una specifica proteina e, dunque, una funzione), trascurando le interazioni tra geni, oltre che le caratteristiche dell’intero genoma.

Oggi possiamo interpretare dati clinici partendo dalla conoscenza che le interazioni tra geni sono fondamentali, oltre che un gene può esprimersi o essere silenziato a seconda dell’ambiente (epigenetica).

Anche le conoscenze sul cervello umano hanno subito radicali cambiamenti, liberando il nostro sapere, ad esempio, da vecchi dogmi scientifici (non c’è neurogenesi dopo la nascita) e da credenze ( la nostra vita cognitiva è regolata da una res cogitas o da pulsioni).

A proposito di neurogenesi, come già ricordato in precedenti articoli del blog, pur riconoscendo che i neuroni del nostro cervello si formano per lo più prima della nascita, si è visto che nei mammiferi (uomo compreso), in qualche regione cerebrale ( in particolare nell’ippocampo), la neurogenesi continua anche in età adulta; anche se questo vale solo per le persone sane e non per i malati di Alzheimer nei quali la genesi di nuove cellule nervose è bloccata.

Queste nuove conoscenze non sono dovute al fatto che le neuroscienze attuali abbiano rinunciato a metodo e razionalità, ma che si sta affermando un modo differente di considerare i propri oggetti di studio, nel nostro caso: il cervello.

Infatti, da un primo e necessario approccio basato sulla conoscenza delle singole parti del nostro cervello siamo andati verso un differente approccio basato sulla consapevolezza che l’insieme delle parti (neuroni o aree cerebrali) non corrisponde alla loro semplice somma (organizzazione neurologica).

Inoltre, grazie alle recenti conquiste di conoscenza,  il cervello viene studiato come un organo ridondante, nel senso che una stessa funzione (movimento) può dipendere da differenti aree del sistema nervoso centrale, ma, anche che, un’area cerebrale può svolgere diverse funzioni. Per esempio, l’area di Broca è coivolta sia nella produzione di parole che nel controllo della mano, come, le stesse aree parietali sono coinvolte sia nella spazialità che nella scrittura. Addirittura, abbiamo appreso che piccole popolazioni di neuroni possono essere coinvolti in differenti funzioni. Infatti, all’interno dell’ipotalamo è stato trovato un nucleo (gruppo di cellule nervose) che contiene due popolazioni distinte di neuroni: uno che regola l’aggressività e uno che regola il comportamento sessuale e l’accoppiamento. Circa il 20% dei neuroni situati al confine tra le due popolazioni può essere attivo sia durante l’accoppiamento sia durante un’aggressione. Questo, ovviamente, suggerisce che i circuiti cerebrali che regolano questi due comportamenti sono intimamente legati.

Infine, quello che ha aperto scenari ben diversi rispetto al vecchio modo di comprendere il cervello, oltre che l’apprendimento ed il comportamento, è la plasticità neuronale e lo studio della sinapsi.

Le neuroscienze moderne hanno definitivamente chiarito che, gran parte della nostra capacità di imparare e ricordare (apprendimento/comportamento) si riduce al comportamento delle sinapsi.

Da qualche decennio siamo a conoscenza che le regole della plasticità sinaptica sono scritte nel nostro DNA, in una popolazione di geni.

Infatti, siamo a conoscenza che, qualora l’ambiente lo richiede, un gene può far aumentare la quantità di neurotrasmettitore nell’assone pre-sinaptico, come pure la quantità di recettori sul dendrite post-sinaptico.

Uno di questi geni è chiamato Arc, senza di esso le sinapsi non si adattano (legge di Hebb o prima legge dell’apprendimento implicito), pertanto gli animali non apprendono.

Grazie ad uno studio recente, svoltosi presso il Dipartimento di biologia molecolare e cellulare al Miller Institute dell’Università della California a Berkelej, si è visto che Arc contiene tratti che sembrano stranamente simili a quelli trovati nei virus antichi (i virus sono piccoli agenti infettivi che invadono le cellule, portando con loro materiale genetico estraneo).

Infatti, dopo che un neurone è stato stimolato, il gene Arc si attiva e produce una proteina che assume la forma di un virus (chiamato virus Arc per comodità) Questo virus Arc viene liberato dal neurone stimolato ed assorbito dai neuroni posti nelle vicinanze, favorendo così uno scambio genico tra cellule nervose coinvolte nel processo di apprendimento (plasticità).

Altra considerazione degna di nota è che Arc risulta coinvolto in alcune patologie del neurosviluppo, quale la sindrome da X fragile.

Non vi sono dubbi: viviamo in  un’epoca in cui l’uomo ha compreso che ogni comportamento, anche il più complesso, rappresenta il prodotto di una ben precisa attività neuronale e che, di conseguenza, ogni alterazione del comportamento, anche la più sottile, è dovuta ad una deviazione dell’attività dei neuroni che ad essa presiedono.

Viviamo in un’epoca in cui le neuroscienze si sono prefisse il fine di comprendere l’attività mentale, cioè i meccanismi attraverso i quali riusciamo ad avere percezioni, ci muoviamo e siamo in grado di ricordare.

Tutti gli indizi ci indicano che il futuro della neuropsichiatria è intimamante connesso con quello della biologia molecolare.

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