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IO, NOI: ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica) Giorno 2

 

La biologia evolutiva e la psicologia dello sviluppo

Fin dalla sua origine (due milioni di anni fa), il genere Homo si è mostrato molto competitivo anche all’interno della propria specie, che diventava sempre più una competizione tra gruppi.

La competizione con altri gruppi umani richiedeva sempre più la trasformazione in un gruppo sociale a maglie più strette per proteggere il proprio stile di vita dagli invasori.

Le popolazioni umane crescendo si scindevano in gruppi più piccoli, dando vita ad un’organizzazione tribale, in cui un certo numero di gruppi sociali (di NOI) differenti erano ancora un singolo super-gruppo o una “cultura”.

La necessità di distinguere gli altri dal proprio gruppo culturale inaugurò (circa 150.000 anni fa) l’era dell’Homo sapiens-sapiens.

All’epoca si poteva fare affidamento solo sui membri del proprio gruppo culturale per condividere le proprie abilità e i propri valori ed essere partner collaborativi specie nella difesa del gruppo.

Ai nostri giorni con un documento contrassegniamo la nostra identità di gruppo, all’epoca vi erano esclusivamente comportamenti: uomini che parlano come ME, trattano il cibo come ME, condividono le MIE pratiche culturali, sono membri del MIO gruppo. IO autoregolo i MIEI pensieri e le MIE azioni sui criteri normativi del gruppo.

Appare evidente che INSEGNARE ai propri figli a fare cose nel modo stabilito dal gruppo (convezioni) divenne fondamentale per la sopravvivenza, oltre al fatto che, le convenzioni più importanti in un gruppo culturale sono quelle linguistiche utilizzate per coordinare le attività sociali.

Il tutto fu favorito dal lungo periodo di mancanza di autonomia del cucciolo d’uomo, vista l’immaturità di neurosviluppo con la quale viene al mondo.

Questo significa che, se vogliamo comprendere i neurostati (le strutture anatomiche e fisiologiche presenti nel nostro cervello) ed i  profili di sviluppo della nostra cognizione e della nostra socialità dobbiamo essere bravi nel definire le aree cerebrali che garantiscono la nostra intenzionalità individuale (grandi scimmie), la nostra intenzionalità congiunta (nei primi umani) e la nostra intenzionalità collettiva (umani moderni).

La biologia evolutiva rappresenta la scienza che più di ogni altra può aiutarci nella realizzazione di un progetto così ambizioso, sia per migliorare la conoscenza di “CHI SONO”, sia ai fini di un miglior inquadramento diagnostico e terapeutico (una corretta diagnosi rappresenta la prima terapia) per tutte le condizioni cliniche in cui si evidenzia un’ anomala socialità o relazione.

Questo perchè, per la moderna biologia evolutiva il bersaglio della selezione naturale non sono le abilità dell’adulto (psicostati) o i suoi tratti, bensì la costruzione delle vie che permetteranno loro di esistere (sviluppo o ontogenesi).

E’ grazie a questa nuova prospettiva (biologica evolutiva), focalizzata non tanto sui geni quanto sull’espressione genica (prospettiva epigenetica), ovvero sul come l’informazione contenuta nei geni si esprime in seguito alla relazione dei geni, sia tra di loro che tra di essi e l’ambiente, al fine di generare un fenotipo.

E’ a questa scienza moderna che si ispira la psicologia evolutiva dello sviluppo (un lungo periodo di immaturità implica che molte competenze cognitive e sociali, oltre alle abilità di apprendimento ad esse associate, si organizzano gradualmente mentre il cucciolo d’uomo interagisce con l’ambiente, sotto la cura di genitori, parenti e amici: allevamento cooperativo).

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