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IO, NOI, ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica). Giorno 22

Gli stranieri dell’ultima frontiera.

 

Guardare un bambino che, senza fine, si morde una mano o fa ruotare un portacenere in modo ipnotico, fissa per ore, con lo sguardo vuoto, un granello di polvere, che urla, al vostro avvicinarsi, come un animale ferito, che si colpisce il volto senza fine o si spalma sul corpo le sue stesse feci, guardando per tutto il tempo diritto attraverso di voi, incute paura.

Questo è il bambino autistico!

Egli vi ignora: è respinto da ogni contatto umano, non vi ascolterà o parlerà con voi, nè vi permetterà di toccarlo. Non vorrà neppure guardare un altro essere umano. Il suo solo piacere, il suo soddisfacimento, sembra solo venirgli dalla sua attività grottesca, ricorrente, spesso automutilatrice.

Preferisce le cose alla gente; è sempre solo, chiuso in se stesso: è uno straniero tra NOI.

E’ questo il modo in cui, nel lontano 1974, nella versione italiana del suo libro The ultimate stranger, Carl H. Delacato descrive le caratteristiche cliniche del bambino con autismo.

Dal 1992, epoca in cui lo incontrai per la prima volta e per la prima volta lessi il suo libro sull’autismo (Alla scoperta del bambino autistico nella traduzione italiana), ho riletto tantissime volte le pagine di questo libro, sempre apprendendo qualcosa di nuovo (grazie al confronto tra le idee espresse nel libro e le pubblicazioni delle neuroscienze attuali).

Ad esempio, basta sfogliare solamente le prime due pagine e possiamo leggere che Delacato ringrazia il gruppo con il quale ha eseguito le sue ricerche, in particolare il dottor Glenn Doman, in quanto “era sempre alla ricerca del perchè i CORPI dei bambini non facevano quello che avrebbero dovuto fare (40 anni prima di qualsiasi pubblicazione sulla coscienza incarnata).

Ma, i meriti scientifici del dottor Delacato andarono ben oltre.

Per prima cosa, “ruppe gli schemi”.

Nel suo libro scrive che rifiutò di considerare  la chiusura relazionale quale atteggiamento psicotico ed, allo stesso tempo, considerò l’autismo il punto di partenza e non la diagnosi.

Da questo punto di partenza (relazione atipica o autismo) si incamminò, avente quali compagni di viaggio i suoi colleghi e  tante famiglie di bambini con disordine dello sviluppo neurologico, per raggiungere due traguardi di conoscenza: a) il disturbo clinico (relazione atipica) è secondario ad una problematica biologica a carico del cervello di quel bambino, b) la problematica neurologica ha coinvolto l’elaborazione delle afferenze sensoriali (abbiamo visto ieri l’importanza delle afferenze sensoriali).

Quarant’anni dopo (2014) la pubblicazione del libro di Carl H. Delacato sull’autismo, l’autistica più nota nell’ambito della comunità scientifica (per aver offerto il suo cervello per gli studi di neuroimmaging), la professoressa Temple Grandin (insegna zoologia alla Colorado State University), nel suo libro ( Il cervello autistico) scriveva che: “Il caso di mia madre è esemplare. Ha scritto che quando io non volevo ricambiare i suoi abbracci, lei pensava: “se Temple non mi vuole non mi avvicinerò”. Ma non era che io non volessi. Il problema era che il sovraccarico sensoriale prodotto da un abbraccio mandava in tilt il mio sistema nervoso.(Naturalmente nessuno capiva niente dell’ipersensorialità sensoriale, scrive l’autrice-autistica).

E ancora, Temple si descrive, “avevo difficoltà ad udire consonanti, quando gli adulti parlavano velocemente udivo solamente il suono delle vocali”.

Preziosissimo quanto scrive che, “Sapete che cosa odio? Il rumore dell’asciugamano elettrico nelle toilette pubbliche. Non tanto quando parte il getto d’aria, ma nel momento in cui le mani di qualcuno entrano nel flusso. Oppure, quando in aereo si tira lo sciacquone del water. Odio le unghie che grattano la lavagna. Odio l’allarme che parte accidentalmente quando qualcuno apre la porta di un’uscita di emergenza. Come, quando ero bambina, la campanella della scuola mi faceva impazzire. Da bambina ero anche terrorizzata dai palloncini perchè non sapevo quando sarebbero potuti scoppiare. Anche i petardi che i bambini facevano scoppiare sotto casa erano per me sconvolgenti, mentre i fuochi d’artificio accesi per una festa popolare li accettavo”.

Ed aggiunge: “nella mia infanzia, quel palloncino che divertiva ed eccitava gli altri bambini, il palloncino che si lanciava da uno all’altro, dandogli dei colpetti con le dita per farlo salire fino al soffitto, io lo guardavo terrorizzata. Per me era una minaccia. Il rumore causava nel mio cranio una sensazione come il dolore del trapano”.

In ultimo, voglio ancora presentarvi un pensiero di Tample Grardin riportato nel suo libro: “nel corso del tempo ho visto centinaia se non migliaia di articoli scientifici sulla questione se gli autistici hanno una teoria della mente, cioè se hanno la capacità di immaginare sè stessi mentre guardano il mondo dal punto di vista di qualcun altro, e di reagirvi emozionalmente in modo appropriato. Però ho visto pochi, pochissimi studi sui disturbi sensoriali, probabilmente perchè l’argomento richiederebbe ai ricercatori di immaginare mentre guardano il mondo attraverso il guazzabuglio di neuroni impazziti che è il cervello di una persona con autismo. Si potrebbe dire che questi ricercatori mancano di una teoria del cervello”.

Ecco, se volete applicare allo studio dell’autismo la “teoria del cervello” finalmente conoscete cosa dovete fare: comprendere come le afferenze sensoriali hanno cablato il nostro cervello facendo emergere (ontogenesi) il nostro modo di essere sociali e/o cognitivi.

Ho scritto questi articoli con diversi giorni di anticipo sulla data di pubblicazione del blog.

Spero che tra poco torneremo alle “nostre relazioni” e, dunque, per il tempo a disposizione, da domani tratterò la via somato-sensitiva (afferenze cerebrali provenienti dal corpo), con particolare riferimento alle afferenze che giungono al nostro cervello ogni volta che muoviamo gli occhi, tralasciando, momentaneamente, le altre vie sensoriali.

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