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IO, NOI, ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica) 2° giorno del nuovo inizio

Continuazione di ieri:

Alcuni cuccioli d’uomo, intorno ai 14-18 mesi di vita, per una imprecisata noxa patogena, cominciano a manifestare una difficoltà clinica (chiamati non si girano, il linguaggio non si sviluppa, il loro sguardo drammaticamente cambia come anche la mimica emozionale) , e, progressivamente, vedranno compromesso il conseguimento delle tappe del nostro diventare “esseri sociali”.

Progressivamente, manifesteranno difficoltà sia nella sfera relazionale (apparente disinteresse per l’altro), che in quella della comunicazione verbale (linguaggio scarso o assente).

Se queste due categorie dovessero avere una genesi separata dovremmo ammettere che quel bambino è veramente sfortunato (avrà riportato nei primi mesi di vita due patologie differenti a carico dello stesso sistema, il nervoso).

Se le difficoltà relazionali fossero secondarie al deficit verbale (il 50% dei tecnici sostiene questa tesi), allora avremmo il dovere di spiegare il perchè bambini sordo-muti non manifestano le stesse atipie relazionali.

Se fosse l’autismo (chiusura relazionale) a spiegare il deficit verbale (l’altro 50% dei tecnici crede in questo), non avremmo percorso molta strada poichè dovremmo spiegare la genesi della chiusura relazionale (che rappresenta il nostro punto di partenza e non di arrivo).

Ho pensato, e vi ho presentato, che poteva esserci un altro modo di affrontare la questione: considerare lo sviluppo del linguaggio e lo sviluppo della relazione conseguenze del processo di Organizzazione Neurologica.

Avevo un punto di partenza (la relazione tipica ed atipica) e ho voluto studiarla come fenotipo di un fattore “oggettivo”: il neurosviluppo.

Oggettivo (sottoponibile a studio scientifico) in quanto ho fatto ricorso alla psicologia dello sviluppo per l’interpretazione delle osservazioni comportamentali ed alla folta schiera dei biologi evolutivi (diversi premi nobel) per lo studio dei neurostati.

In questo mese abbiamo così potuto vedere che, a differenza delle grandi scimmie che volgono lo sguardo al soffitto quando l’adulto, anche tenendo gli occhi chiusi, volge la testa in alto, i nostri bambini volgono lo sguardo al soffitto quando l’adulto, pur con la testa orientata in avanti, guarda all’insù solo con il movimento degli occhi.

Solo fino ai 9 mesi i cuccioli d’uomo seguono esclusivamente la direzione della testa, successivamente saranno più interessati alla direzione dello sguardo.

Abbiamo anche sottolineato un’altra differenza con i cuccioli degli altri primati: il cucciolo d’uomo “ti guarda e sorride”.

A prescindere dal valore empatico (per questo ho fatto riferimento agli studi di Rizzolatti), appare evidente che la prima tappa del neurosviluppo consiste nel sincronizzare l’attività dei nuclei dei nervi cranici, tra di loro e con quelli del midollo spinale (specie per quanto riguarda il sincronizzare i movimenti della mano con i movimenti degli occhi che andranno a perfezionare la pregressa coordinazione occhio-lingua necessaria, negli animali, per alimentarsi). Questa sincronizzazione è necessaria per garantire risposte riflesse complesse (automatiche) che coinvolgono popolazioni di muscoli di vari distretti del corpo e, inoltre, favorisce il passaggio, attraverso le vie ascendenti, delle informazioni provenienti dal proprio corpo verso le cortecce cerebrali.

Quando le circuiterie neuronali, organizzate in modo da far nascere in quel corpo la “sensazione” di essere il possessore del corpo, cominceranno a sincronizzarsi con tutte quelle circuiterie corticali che trattano le “sensazioni” del mondo esterno, quel cucciolo d’uomo vedrà abilitarsi una funzione specificamente umana: la prospettiva.

La psicologia evolutiva interpreta, gran parte delle difficoltà del bambino con autismo, proprio come un disordine dello sviluppo della prospettiva o credenza (vedi Michael Tomasello, Diventare Umani, Raffaello Cortina Editore, pag 141)

La prospettiva, abbiamo visto, non è una facoltà di uno o più moduli innati, la prospettiva è un’abilità che richiede un complesso processo di neurosviluppo che parte dal riconoscimento, da parte di quel sistema nervoso, del corpo che lo contiene.

A mano a mano che quel sistema riconoscerà la lingua, i muscoli che fanno muovere gli occhi, i muscoli del viso, quelli della deglutizione e quelli degli arti, perfezionerà sempre di più l’uso di questi muscoli e, allo stesso tempo, comincerà anche a manipolare il mondo, compresa l’altra persona, a suo piacimento.

Abbiamo visto che questo è un processo progressivo, una condizione che richiede anni, prima che si arrivi (ontogenesi) a “diventare uomini”: Io intendo che Tu sai cosa IO penso (ti comunico le mie intenzioni perchè posso fare cambio di prospettiva).

Questo processo, abbiamo visto sopra, passa attraverso tre importantissime fasi: 1) la fase dell’apprendimento individuale o sensori-motorio, 2) la fase dell’apprendimento per osservazione, 3)la fase dell’apprendimento pedagogico o per istruzione, che sfocerà nella fase della collaborazione tra pari o della co-costruzione sociale.

Ovviamente, quello che la biologia evolutiva ci ha insegnato, e che non dobbiamo mai dimenticare, è che ognuna di queste fasi corrisponde ad aree cerebrali che si sincronizzano attraverso l’esperienza o uso del corpo (neurostati). Inoltre, le fasi successive sono organizzativamente dipendenti dalle organizzazioni delle aree pregresse (l’esatto opposto di quanto veniva teorizzato dalla teoria della mente), oltre che da quello che il corpo continuerà a fare nel corso della vita.

Attraverso i dati che ci ha fornito la psicologia dello sviluppo (sguardo, tono muscolare specie muscoli della lingua e del viso, gesto dell’indicare, manipolazione), ho dedotto che, nelle sue espressioni cliniche più tipiche ( primi sintomi intorno ai 12-14 mesi di vita, stereotipie, assenza di linguaggio, chiusura relazionale), l’autismo rientra in un’alterazione della fase dell’apprendimento individuale o sensori-motorio.

Questo significa che ho potuto restringere il terreno d’indagine (in termini di anatomia) a determinate strutture cerebrali : aree sottocorticali, aree corticali sensori-motorie, aree associative primarie (trascurando soprattutto le aree associative terziare in quanto un loro coinvolgimento non può non essere secondario, sia per l’età di insorgenza dei sintomi, sia per i sintomo di esordio).

Inoltre, grazie ai progressi delle neuroscienze degli ultimi trent’anni, ho ristretto l’interesse alle vie che collegano queste strutture nervose (la comunità scientifica internazionale concorda, sui dati clinici e strumentali, che gli autismi sono espressioni di connettopatie).

Adesso avevo bisogno del fattore X, dovevo necessariamente conoscere quando (quale comportamento) si era oltrepassato il confine tra lo sviluppo tipico e quello atipico.

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