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Sense of agency

                                                                           

Per le neuroscienze attuali la percezione è il processo che consente all’organismo di astrarre informazioni attraverso l’interazione con la realtà che lo circonda.

 Appare evidente che tale “processo di conoscenza” deve necessariamente passare attraverso i sensi (necessità di trasdurre le informazioni del mondo in corrispettiva energia nervosa).

Anche quando apriamo un rubinetto e l’acqua immediatamente scorre astraiamo l’informazione di aver controllato l’azione che ha portato allo scorrimento dell’acqua, ed esperiamo quel “sense of agency” che, come tutti gli apprendimenti, necessita di uno sviluppo o organizzazione del sistema nervoso (selezione e sincronizzazione di circuiti neuronali).

Negli ultimi decenni lo sviluppo, o apprendimento, di tale processo biologico ha catturato le attenzioni di sempre più ricercatori con conseguenti benefici anche in campo clinico, specie in quei casi ove tale sviluppo potrebbe essere stato disordinato (es. disturbi dello spettro autistico) o, addirittura, potrebbe andare perso (es. sindrome dell’arto alieno oppure sindrome dell’arto fantasma)

La prima cosa da sapere è che lo sviluppo del “sense of agency” è strettamente legato allo sviluppo del “senso di appartenenza al proprio corpo” e, pertanto, è legato all’avere un corpo, a percepirlo (trasdurre le informazioni meccaniche che dal corpo vanno al cervello in attività nervosa organizzata) e, dunque, a compiere azioni e interazioni. Ovviamente, per il suo sviluppo o apprendimento è necessario, oltre al fatto che il corpo si auto-riconosce, che il corpo sviluppa la conoscenza di avere il controllo sulle azioni che intende compiere e sulle loro conseguenze a livello sensoriale (se ruoto il rubinetto vedo scorrere l’acqua).

Una tappa significativa dello sviluppo di tale processo è rappresentata dal “test di riconoscimento allo specchio”. Intorno ai 18-24 mesi di età, qualora il neuro-sviluppo del cucciolo d’uomo sia stato “ordinato”, si può valutare se il corpo di quel bambino abbia appreso ad auto-riconoscersi. Infatti, posto di fronte ad uno specchio, dopo che sia stato fatto un segno di vernice rossa sulla fronte, il bambino cerca di toccare la propria fronte per cercare la macchia mostrandoci che quel corpo ha sviluppato una nuova abilità: “riconoscere sè stesso”.

Nei mesi successivi, e fino all’età di 4 anni, sottoposto a selezione esperienziale, il cervello di quel bambino subirà nuove modifiche strutturali e per questo svilupperà una nuova abilità che andrà a condizionare il “senso del sé”(non tutti abbiamo le stesse conoscenze).

Infatti, intorno ai 4/5 anni, il corpo di quel bambino apprende che la conoscenza è strettamente legata a ciò che sta facendo e che questo vale anche per gli altri corpi (teoria della mente).

Questo fenomeno fu descritto in modo brillante negli anni ottanta del secolo scorso dai cognitivisti britannici (il gruppo di Simon Baron-Choen) che sottoposero i bambini di tre e di quattro anni ad esperimento e osservarono le differenti risposte in relazione all’età. Nell’esperimento, al bambino vengono presentate due bambole: Sally (che ha un cesto coperto dove non è possibile vedere il contenuto) e Anne (che ha una scatola chiusa). Mentre Anne osserva, Sally nasconde una biglia nel cesto e poi esce dalla stanza. Quando Sally è via, Anne prende la biglia dal cesto e la nasconde nella sua scatola. Infine, Sally ritorna nella stanza ed al bambino viene chiesto dove Sally cercherà la sua biglia. All’età di 4 anni, e non a 3 anni, i bambini rispondono indicando il cesto e, pertanto, dimostrano di aver compreso che la visione del mondo di Sally non corrisponde alla realtà (distinzione tra soggettivo e oggettivo). Prima dei 4 anni invece i bambini indicano la scatola, fallendo il compito, perché è difficile per il loro livello di organizzazione neurologica tener conto del fatto che hanno una conoscenza a cui Sally non ha accesso (soggettivo/oggettivo).

Dagli anni ottanta ad oggi le neuroscienze ci hanno fornito sempre più informazione per dare un significato “oggettivo” all’esperimento.

Infatti, ad oggi nessuno potrebbe ipotizzare (come invece fecero i cognitivisti londinesi) che il sè, il controllo del sè, la lettura della mente altrui, siano faccende relegate a moduli neuronali geneticamente pre-formati e posti nel nostro cervello dall’evoluzione.

Il nostro “sense of agency” è un processo di integrazione di informazioni sensoriali e motorie che richiede un tempo per realizzarsi. Il tempo in cui quel corpo agisce, e mentre agisce imparerà ad auto-riconoscersi ed auto-controllarsi.

 Non è un caso, e come potrebbe esserlo visto che anatomia e fisiologia ovvero struttura e funzione vanno a braccetto, che le neuroscienze individuano nella sincronizzazione della corteccia somato-sensoriale associativa e dell’area motoria pre-supplementare (pre-SMA) la parte terminale di questo processo organizzativo neuronale.

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