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MESE: OTTOBRE 2016 L’autismo visto in una prospettiva futura (speriamo non troppo futura)

Le neuroscienze attuali hanno fornito, ai tecnici ed all’opinione pubblica, un immenso patrimonio informativo sulle funzioni cerebrali e “mentali”, e sul nuovo concetto di Organizzazione Neurologica. Di tutto questo, non possono che beneficiarne alcune branche della medicina (nel caso specifico neuropediatria). Allo stesso tempo, è emersa la consapevolezza che noi non siamo il nostro cervello, piuttosto, il cervello è una parte di ciò che l’animale o l’uomo è.

La stessa cognizione non è qualcosa che i cervelli ottengono da soli.Tutte le mie conoscenze (poche o tante) hanno richiesto l’operazione congiunta del mio cervello , del mio corpo, del mio mondo. Dunque, i cervelli non possono avere una mente, saranno gli animali e gli uomini ad esprimerla.Quindi, appare evidente che, tutti i processi cognitivi (dalla semplice sensazione inconsapevole fino al più complesso ragionamento logico ) richiedono un’intensa ed intima interazione tra ciò che accade nel cervello e quello che avviene in parti non neuronali del corpo, oltre che, nel mondo. E’ grazie a questa interazione corpo/cervello, che possiamo comprendere se il nostro interlocutore si trovi in uno stato di disagio e /o di sofferenza. Infatti, in circostanze normali, nei nostri volti e nei nostri gesti (smorfie, sorrisi, posture ) trova ampia espressione ciò che esperiamo. Purtroppo, nelle patologie del neurosviluppo le circostanze vanno “fuori dagli schemi”. Per tale motivo,  dobbiamo sempre considerare che l’assenza di caratteri comportamentali (condivisione dello sguardo, acconsentire con la testa etc) che normalmente contraddistinguono la cognizione, non implicano il “non capire”. In merito a ciò, il tecnico, più che trascorrere giorni o settimane (purtroppo talvolta mesi) in una sterile osservazione clinica ai fini della diagnosi, deve fidarsi dell’osservazione fatta da un parente o da una persona che vive con il bambino. Tale osservazione sarà senz’altro più efficace di quella fatta da un medico. Quello che trova conferma nelle neuroscienze attuali, è che non possiamo affidarci ad alcun criterio teorico (test psicometrici) per decidere quale livello di “cognitività” abbia raggiunto un bambino con autismo. Ne, tanto meno , hanno una pregiata utilità i criteri pratici classici. Infatti, le immagini prodotte dalla fRMN e PET non sono istantanee del cervello in azione. Ad esempio, durante l’atto percettivo, l’attività neurale nel cervello si caratterizza attraverso processi circolari e bidirezionali. Esistono, infatti, vie neurali che dai sensi si dirigono verso la corteccia cerebrale, così come ne esistono altre ( sono quantitativamente maggiori) che compiono il percorso inverso. Quando, usando tecniche, si localizzano eventi nel cervello, sia in termini spaziali (nei due-cinque millimetri che possiamo ridurre l’osservazione si trovano popolazioni di migliaia di neuroni) che in quelli temporali, non possiamo avere certezza sul traffico elettrochimico e sulla sua corretta direzionalità ( basso/alto e alto/basso).

Allo stato, non possiamo andare oltre l’affermazione scientifica che indica la cognizione ,non come quella cosa che accade all’interno, bensì come quella cosa che noi “facciamo” attivamente. Tale nuova prospettiva rappresenta una vera rivoluzione , in quanto, tutto il corredo sintomatologico del bambino con autismo, non deve più essere interpretato come un deficit cognitivo bensì, come un adattamento. Attraverso “quei comportamenti” quel sistema nervoso ha trovato la migliore strategia per poter interferire con il proprio ambiente.Solo un intervento su quel corpo, su quel cervello e su quell’ambiente (in termini di esperienza sensori-motoria) può modificare la strategia comportamentale adottata ovvero, può modificare la relazione con ciò che lo circonda.

Portare l’autismo in una dimensione neuro-biologica significa, fondamentalmente, osservare quel bambino nel suo ambiente naturale. “L’idea nuova”, che emerge dal blog, è quella di considerare il cervello quale l’organo capace di facilitare un modello dinamico di interazione che coinvolge, oltre al cervello, anche il corpo e l’ambiente.

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