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Siamo tutti un po’ (o tanto) instabili.

L’idea che il nostro cervello sia immutabile o geneticamente cablato, per cui quando una noxa patogena ne altera la struttura ed il funzionamento, appartiene ad un passato oramai sepolto. Le neuroscienze ci presentano il cervello come un organo con vincoli biologici predefiniti (numero delle cellule nervose, migrazioni cellulari in aree prestabilite in quantità definita) ma, allo stesso tempo strutturato, nella sua organizzazione più fine, dalla sua costante interazione con il mondo (esperienza). Ciò vale non solo per le aree cerebrali direttamente connesse al mondo esterno, come le aree corticali sensoriali, ma anche per quelle aree evolutivamente più recenti o più anteriori, quali le cortecce associative secondarie e terziarie, ove le abilità astrattive umane trovano la loro genesi. Il cervello è plastico nella sua globalità e, grazie a tale proprietà biologica, si arriva a modellare perfino il proprio patrimonio genico, mettendo fine ad ogni barriera tra genetico ed epigenetico. Il percorso per giungere a tali conoscenze è stato lungo e ricco di ostacoli (sia metodologici, in quanto eticamente non è pensabile di sottoporre esseri umani ad esperimenti invasivi, sia di resistenza ideologica, da parte di chi considera il cervello una tabula rasa o un organo geneticamente cablato). i primi neuroscienziati “curiosi” e “fuori dagli schemi” studiarono ratti, vissuti in ambienti stimolanti e non, e trovarono nell’indagine post-mortem che i cervelli dei ratti stimolati avevano maggiori quantità di neurotrasmettitori, erano più pesanti e mostravano un microcircolo sanguigno migliore rispetto ai ratti che avevano vissuto in ambienti non stimolati.

Ancora più valore scientifico, visto che gli autori di questo studio furono premiati con il nobel fu riconosciuto al lavoro di Hubel e Wiesel . Collaboratori del famoso neuroscienziato Mountcastle, che dedicò la propria professione allo studio della citoarchitettura corticale, Hubel e Wiesel cucirono una palpebra di un gatto nel periodo neonatale, in modo che l’occhio non potesse ricevere alcuno stimolo visivo. Quando riaprirono l’occhio, trovarono che le aree nella mappa cerebrale che avrebbero dovuto elaborare i dati visivi provenienti dall’occhio chiuso non si erano sviluppate .Infatti grazie, alla plasticità, la struttura  delle aree visive necessitava per formarsi dell’esperienza.Inoltre, quando i due ricercatori esaminarono la mappa cerebrale , trovarono un’altra prova della plasticità cerebrale: la regione cerebrale che era stata deprivata degli imput sensoriali non era rimasta inattiva ma aveva iniziato ad elaborare i dati visivi provenienti dall’occhio rimasto aperto.

Un altro neuroscienziato che ha dato un notevole contributo alla comprensione della neuroplasticità è stato Merzenich . Questi scoprì che le mappe corticali non erano nè immutabili nè universali , ma che i loro confini e le loro dimensioni variavano da individuo ad individuo, con i suoi esperimenti mostrò che la forma delle mappe cerebrali si modifica  a seconda di ciò che esperiamo nel corso della nostra vita.

Le mappe neurali a differenza del vecchio concetto dei moduli cerebrali (modulo della mente), sono dinamiche al punto tale che una mappatura oggi attiva nel nostro cervello in una determinata circostanza, domani, in una simile circostanza, potrebbe non attivarsi.Tutto ciò potrebbe toglierci qualche certezza, allo stesso tempo potrebbe rappresentare la nostra fortuna ed il punto di partenza per sviluppare protocolli terapeutici per soggetti con disordine dello sviluppo neurologico.

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