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Fammi vedere come impugni il cucchiaio.

La finalità del Sistema Nervoso è quella di garantire, al suo possessore, il comportamento più adattivo. In un mondo in continuo mutamento l’azione (comportamento), inevitabilmente, viene ad essere selezionata dall’informazione sensoriale. L’essere umano, come scritto in diversi articoli del blog, si caratterizza per il possedere un sistema nervoso ove l’integrazione tra le differenti informazioni sensoriali è massima. In effetti, già la vista, l’udito, il tatto, nella loro specificità rappresentano l’integrazione di una moltitudine di aree corticali, riceventi informazioni dallo stesso organo sensoriale periferico, ma abilitate a trasdurre segnali molto differenziati. Ad esempio, per la vista troviamo decine di aree coticali, tutte che ricevono informazioni provenienti dalle retine, ma che si “eccitano”, alcune con “segnali di forme”, altre di “colori”, altre di “movimento” e così via. Con la crescita ed il parallelo sviluppo neurologico questa integrazione interesserà aree corticali situate in lobi differenti e, dunque, con funzioni sensoriali molto differenti, ovvero provenienti da organi di senso diversi. Pertanto, a mano a mano che, con lo sviluppo si modificano i neurostati, si modificheranno le abilità o psicostati (processo di apprendimento). In tal modo, dall’impossibilità, da parte del cucciolo d’uomo, di vedere un oggetto posto a pochi centimetri dai suoi occhi, egli sarà capace, non solo di vederlo, ma anche di afferrarlo e, in seguito, di utilizzarlo. Allo stesso tempo, nel corso della vita dell’uomo, questi neurostati possono disorganizzarsi (per un processo espansivo, o per un infarto cerebrale, o per un trauma cranico, o per un processo demielinizzante, oppure neurodegenerativo). In altre condizioni, questi neurostati non si sviluppano in maniera lineare, ovvero come nella media degli altri infanti, in tal caso parliamo di disordini dello sviluppo neurologico in età evolutiva.

In neurologia troviamo condizioni cliniche in cui, senza essere paralizzati, o senza avere turbe mnesiche, o, cosa ancora più importante, senza essere ritardati mentale, si possono perdere, oppure si possono non acquisire, alcune abilità.

Immaginate che qualcuno vi chieda di passargli un paio di occhiali, o un telecomando, oppure un sigaro posto davanti a voi. Ci saranno tanti modi differenti di manipolarli, qualora si trattasse solo di afferrarli, infatti, più che la loro identità e la loro funzione, quello che in questo caso conta sono le loro caratteristiche geometriche. Immaginate, ora, di dover usare gli oggetti sopraindicati, in questo caso il gesto viene ad essere selezionato da ciò che sapete dell’oggetto specifico e della sua funzione.

Prima di conoscere Delacato (1992) avevo avuto esperienze professionali solo con adulti ricoverati in strutture residenziali. Molti di loro impugnavano il cucchiaio con tutta la mano, come fa un bambino prima dei due anni, ovvero quando non ha ancora sviluppato alcuni neurostati. Contrariamente a quanto da molti ritenuto, quella difficoltà gestuale, in quei soggetti adulti, non è secondaria ad un ritardo mentale. Nel 1900 il neurologo tedesco Liepmann aveva introdotto il termine aprassia (senza azione) per definire le difficoltà gestuali di un uomo adulto che, a causa della sifilide, presentava lesioni cerebrali multiple responsabili di afasia, amnesie ed, appunto, aprassia. Le scienze neurologiche hanno, successivamente,definito l’area corticale responsabile delle difficoltà gestuali. Le difficoltà deriverebbero da una lesione nella parte posteriore del lobo temporale (un insieme di aree interconnesse coinvolte non solo nell’identificazione dell’oggetto, ma anche nell’immagazzinamento di tutte le conoscenze relative, compresa la funzione ed il modo di usare l’oggetto). Allo stesso tempo, in clinica neurologica è ben nota un’altra condizione clinica ove, quando il paziente cerca di prendere il cucchiaio posto sul tavolo, qualora mira l’oggetto manca l’obiettivo, aprendo eccessivamente la mano, senza adattarla alla forma del cucchiaio. Questa difficoltà, definita atassia ottica, viene superata dai nostri pazienti con tetraparesi spastica grazie ad uno stratagemma frutto della loro immensa intelligenza biologica : dopo aver guardato il cucchiaio deviano gli occhi, in modo che la vista non vada a disturbare l’informazione propriocettiva. Peccato che nel nostro paese si registra una situazione molto paradossale : i bambini autistici disprassici vengono “ossevati” dal neuropsichiatra infantile, mentre i bambini tetraplegici, con la loro atassia ottica, vengono visitati dai fisiatri (la disabilità diventa consequenziale ad un danno articolare), ma nessuno guarda il problema da una prospettiva neurologica. In effetti, il problema non stà nella specializzazione del professionista. Il problema maggiore è che si danno risposte senza conoscere l’anatomia e la fisiologia del Sistema Nervoso, oltre che la clinica neurologica, e questo, inevitabilmente, nello specifico, conduce all’insuccesso.

 

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