Uncategorized

L’attenzione, la concentrazione e l’attenzione selettiva

L’attenzione è la “sensazione” che si prova a concedere una maggiore quantità di risorse a determinate “percezioni”, piuttosto che ad altre. Date una rapida occhiata intorno a voi, sulla spiaggia ove vi trovate. Qualunque persona o oggetto vi ricordate di aver notato ha ricevuto la vostra attenzione, sia pur brevemente

Si differisce dalla concentrazione, che rappresenta quel tipo di attenzione richiesta per leggere un articolo come questo, mentre altri stanno giocando sulla sabbia.

L’attenzione selettiva è la capacità di prestare “attenzione” a quel volto o a quell’oggetto volontariamente, per poco tempo. Allo stesso tempo, possiamo prestare attenzione volontariamente ad uno stimolo meno intenso (ad esempio un colore), rispetto ad uno più forte (la parola scritta).

Abbiamo varie volte ricordato che viviamo in un mondo caotico, che ci bombarda in continuazione con ogni sorta di stimoli. Attraverso gli organi sensoriali assorbiamo stimoli, che vengono integrati tra di loro ed associati a quanto in precedenza esperito. In effetti siamo esposti ad un vero bombardamento di stimolazioni, provenienti dal mondo e dal nostro corpo, che non siamo in grado di percepire tutte contemporaneamente. Come facciamo a stabilire a cosa prestare attenzione e cosa ignorare?

Tutti abbiamo sperimentato che non possiamo stare attenti a tutto quel che vediamo, ascoltiamo o viene a contatto con il nostro corpo (vestiti). Mentre i nostri recettori sensoriali lavorano incessantemente, per fornirci quanti più input possibili, l’Organizzazione del Sistema Nervoso presenta sempre una strettoia nella limitata capacità attentiva umana. Pertanto, inconsapevolmente o con consapevolezza, decidiamo su cosa fare attenzione.

Sovente, la nostra attenzione viene “letteralmente catturata”.

Dopo che i dati sensoriali lasciano gli organi di senso il segnale (attività elettrochimica) si divide.

Sappiamo che il riconoscimento consapevole delle informazioni provenienti dagli occhi avviene nei lobi occipitali, che si occupano di comprendere la forma, il colore, la distanza, oltre che l’eventuale movimento di ciò che stiamo osservando.

Per catturare l’attenzione, invece, la natura ci ha donato un’altra area cerebrale: il COLLICOLO SUPERIORE. Esso riceve le stesse informazioni che arrivano alla corteccia occipitale, ma ci consente di astrarre altro tipo di informazione. Quest’ area, evolutivamente molto antica, è organizzativamente meno complessa della certeccia cerebrale. Per tale motivo, non può consentirci di vedere un mondo se non in bianco e nero e dai contorni molto imprecisi. Allo stesso tempo, è capace di garantici reazioni rapide, come quando si ha l’impressione che stia per accadere qualcosa di potenzialmente pericoloso e c’è bisogno di un atto motorio rapido, ovvero di un comportamento più veloce di quello che potrebbe garantirci la corteccia cerebrale. E’ utile per guidare movimenti riflessi o automatici al fine di orientare la testa ed il corpo in una certa direzione. In effetti, quando l’attenzione viene catturata e si verifica un movimento inatteso, è come se il collicolo superiore avesse detto alla corteccia occipitale: “non so che cosa sia, ma prestagli attenzione affinchè se ne capisca il pericolo”. Dunque, la conquista automatica dell’attenzione serve ad orientare la PERCEZIONE concapevole in direzioni adattive.

COME SI PUO’ INTENDERE, L’ATTENZIONE E’ PARTE INTEGRANTE DEL PROCESSO PERCETTIVO.

Un motivo per cui restringiamo continuamente la percezione, utilizzando l’attenzione come “imbuto” prima di raggiungere la consapevolezza, è che la PERCEZIONE SERVE ALL’AZIONE. Se la nostra capacità attentiva, e dunque attentiva, non dovesse essere estremamente limitata non sarebbe vantaggiosa, visto che la nostra capacità di agire lo è senz’altro: RIUSCIAMO A SVOLGERE UN SOLO COMPITO RILEVANTE ALLA VOLTA.

Affidare soggetti con autismo (disordine dell’attenzione, della percezione, dell’azione) alla psicologia cognitiva ed ai protocolli terapeutici cognitivi-comportamentali (T.E.A.C.C.H., A.B.A.) rappresenta un grosso rischio.

La psicologia cognitiva studia i processi neuronali di base, quali percezione, attenzione, azione, linguaggio, senza studiare la “scatola nera”. Osservare e misurare quel che entra nella testa (input) e quel che ne esce, non ci dice nulla sul funzionamento del cervello. E’ necessario che i neurofisiopatologi, meglio prima che dopo, diano un loro contributo alla causa.

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*