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Modificare il passato per migliorare le percezioni presenti

Sin dai primi articoli pubblicati (maggio 2016), il blog ha tentato di spiegare, nei termini delle neuroscienze attuali, perchè l’ approccio comportamentista non possa  rappresentare la proposta terapeutica di prima scelta per la cura dei disturbi dello spettro autistico in età evolutiva. Allo stesso tempo, in tantissimi articoli, si è cercato di far luce sull’approccio neurobiologico evolutivo al fine, sia di definire quali circuiti neuronali sono compromessi nel bambino autistico che stiamo osservando, sia per stabilire le giuste proposte terapeutiche abilitative (esperienze sensori-motorie).

La nostra scelta nasce anche dalla consapevolezza che abbiamo un passato in comune con tutte le specie viventi che ci circondano, dato che ognuna di esse si è evoluta nello stesso ambiente in cui ci siamo evoluti noi, andando a costituire una parte di quell’ambiente, con il risultato di trasformarlo.

Pesci, rettili, uccelli, mammiferi, siamo tutti sistemi nervosi “incarnati” e corpi nell’ambiente, con l’obiettivo di sopravvivere, ben consapevoli (almeno noi umani) che la sopravvivenza richiede innovazione o apprendimento. Per tale motivo, quando “cambiamo” le nostre esperienze “cambiamo” i nostri cervelli. Potremmo anche dire che, essendo intimamente coinvolti con il nostro ambiente, non possiamo separare l’EVOLUZIONE dal NEUROSVILUPPO e dall’APPRENDIMENTO senza smarrirci.

Eppure, nel campo dei disturbi dello spettro autistico, attualmente, vi è un pensiero ossessivo nei tecnici: trovare i geni “responsabili” dei comportamenti anomali e dei deficit di quel bambino.

A mio avviso, tale ossessione (giustificata ai fini della ricerca, ma non ai fini terapeutici e prognostici) è figlia di una errata convinzione, predominante nella metà del secolo scorso, che considerava il cervello un organo per lo più statico.

OGNUNO SI BECCAVA IL CERVELLO CHE I SUOI GENI GLI DAVANO.

Veniamo al mondo con una costituzione fisica ed una personalità già formate, o sono le esperienze e le circostanze a plasmarci?

I bambini autistici vengono al mondo con una costituzione fisica (sovente soffrono di reflusso gastro esofageo e coliche addominali nel primo anno di vita, dermatiti; si ammalano spesso per poi, dal terzo/quarto anno, non ammalarsi mai, manifestano un alvo irregolare, ecc.) ed un anomalo comportamento (stereotipie, agitazione, irritabilità, ecc.) già formati, o sono le esperienze e le circostanze a plasmarli?

Noi e loro, siamo prodotti della genetica o dell’ambiente?

In effetti, la domanda è molto stupida.

L’epigenetica ci dice che non siamo prodotti nè dell’una nè dell’altra, e nemmeno di una combinazione statica delle due. Siamo invece il prodotto della costante interazione genetica/ambiente.

I geni non codificano dei tratti specifici in quanto tali (reflussi, coliche, stipsi, stereotipie, agitazione, ecc.), ma codificano processi ed elementi di interazione fra le cellule ed i loro ambienti cellulari e non cellulari.

La genetica e lo sviluppo sono dei processi intrinsecamente dipendenti dalle reciproche influenze.

E’ proprio lo studio del neurosviluppo che convalida questa tesi, ormai largamente condivisa in neurogenetica. Infatti, ad essere innati nel cervello sono dei modi di crescere, oltre ad un programma di massima concernente ciò che deve crescere. Ma l’organizzazione fine del cervello è sorprendentemente malleabile. Se si trapianta un pezzo di corteccia visiva nella corteccia uditiva, i neuroni trapiantati si comporteranno come se fossero cellule nervose uditive, incluso il fatto di stabilire connessioni con altri circuiti uditivi. Lo stesso vale all’incontrario.

Potremmo dire, senza essere smentiti, che si tratti di una cellula nervosa della corteccia cerebrale, o di un individuo in un’organizzazione, i sistemi sono definiti dall’interazione fra le loro proprietà intrinseche e le loro relazioni esterne nel tempo e nello spazio.

Se si vivesse in un mondo stabile, restare immobili rappresenterebbe la migliore strategia. Ma il mondo è estremamente dinamico.

L’EVOLUZIONE incarna alla lettera questo dato di fatto, LE SPECIE CHE SI MUOVONO VIVONO (per un biologo la vita è movimento). Ovviamente anche restare fermi, mentre tutto intorno si modifica, è movimento.

Per le neuroscienze moderne, la PERCEZIONE è la relazione tra lo stimolo (input) e la risposta (output).

Nelle prime fasi del neurosviluppo, la percezione altro non è se non una risposta neurale autonoma ed involontaria, non diversa da un riflesso. Nel corso della nostra vita (sviluppo), i circuiti neuronali, generati nel cervello in risposta ai cambiamenti ambientali (percezioni), diventeranno sempre più complessi e stabili (organizzati), andando a condizionare le percezioni presenti.

La percezione non può non restare sempre vincolata all’architettura neurale del cervello (pregresse percezioni).

Ecco il perchè le esperienze modificano i nostri cervelli, poichè le PERCEZIONI PASSATE, grazie all’AZIONE, modificano le PERCEZIONI PRESENTI, che modificheranno quelle future. Le nostre azioni rappresentano il ponte tra le percezioni passate e presente.

Modificando il modo di percepire (esperienze sensori-motorie) dei bambini autistici potremmo dare a loro la possibilità di riorganizzare i loro cervelli.

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