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Autismo e socialità

Nell’articolo precedente abbiamo visto come l’ossitocina (anche la vasopressina), pur contribuendo a  quella sensazione di unione, vicinanza o attaccamento, non può essere ritenuta generatrice della nostra socialità. Infatti, l’ossitocina, come la vasopressina, è una sostanza (peptidi) molto antica, comparsa almeno 700 milioni di anni fa (molto prima della comparsa dei mammiferi), con la funzione di regolare l’acqua ed i minerali degli animali terrestri.

Pertanto, nei mammiferi è stato il cambiamento  dell’Organizzazione Neurologica (soprattutto a livello di struttura) a determinare l’attaccamento e la socialità e non le molecole in sè.

Dunque, non esistono molecole dell’attaccamento, nè tantomeno sostanze chimiche della socialità, ovvero molecole che somministrate ad un organismo fanno si che questi si attacchi ai membri della famiglia, si prenda cura degli amici, generi un sentimento di appartenenza. Esistono, invece, sistemi nervosi organizzati in maniera tale da “considerare” l’altro un pezzo di sè stessi.

Inoltre, va ricordato che, l’ossitocina è un neurormone, selezionatosi in natura per modulare la funzione di specifiche circuiterie neuronali, con un meccanismo ancora non del tutto chiaro. Ad esempio, nella pecora, la sua funzione è quella di modulare circuiti neuronali che consentiranno alla madre di dimenticare l’ultimo agnello partorito, al fine di consentire l’attaccamento con il nuovo figlio.

Appare evidente che, la socialità deve essere compresa, soprattutto, in termini di strutture neuronali coinvolte, ovvero di ORGANIZZAZIONE NEUROLOGICA.

Tutti i sistemi nervosi sono ORGANIZZATI per prendersi cura della sopravvivenza elementare del corpo di cui fanno parte.

Da una prospettiva biologica evolutiva (punto di riferimento costante del blog) possiamo affermare che, in tutti gli animali vi sono circuiti neuronali selezionatisi nel corso dell’evoluzione, che presiedono alla cura di sè e del proprio benessere.

Per sopravvivere gli animali devono spostarsi alla ricerca di cibo, di acqua, e di ogni altra cosa capace di mantenere il corpo in funzione. La paura ed il dolore forniranno all’animale indicazioni sulla necessità di correggere il suo comportamento, al fine di sottrarsi al dolore ( paura e dolore rappresentano segnali di sopravvivenza). In ultima analisi potremmo dire che, i cervelli si organizzano per ricercare il benessere e tentare di sollevarsi dal malessere, sotto la regia casuale dell’evoluzione biologica, che non ottiene adattamenti disegnando per intero un nuovo meccanismo fin dall’inizio, ma modifica ciò che è presente pezzo per pezzo.

Pertanto, appare  evidente che, nei mammiferi e, dunque, nell’uomo si siano selezionate, nel corso dell’evoluzione, strutture nervose capaci di garantire, grazie alla loro organizzazione neurologica, alcune funzioni complesse, partendo da quelle strutture neuronali capaci di monitorare lo stato interno del corpo in relazione ai parametri che contano per la sopravvivenza (tronco encefalico-ipotalamo-cotecce insulare e cingolata).

In termini evoluzionistici, il tronco encefalico è una delle parti più antiche del cervello. Esso collega il midollo spinale alle cortecce cerebrali, costituendo il passaggio per le lunghe fibre nervose che collegano il corpo al cervello. Inoltre, svolge funzioni neurologiche necessarie alla sopravvivenza quali, il controllo di attività riflesse (tosse, sbadigli, vomito), i livelli di attenzione (negli articoli delle ultime settimane abbiamo analizzato la regolazione del ciclo sonno/veglia da parte di nuclei di neuroni del tronco cerebrale), il controllo dei nervi cranici (tra cui il III, IV, V, VI e VII nervo cranico, che permettono le espressioni facciali e movimenti oculari fondamentali per la socialità), oltre al controllo del sistema nervoso autonomo .

Pertanto, alle cellule nervose del tronco cerebrale e dell’ipotalamo spetta il compito di regolare il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la secrezione gastrointestinale, la temperatura, il livello di zuccheri e di anidride carboica nel sangue (OMEOSTASI). Saranno i cambiamenti omeostatici, ovvero dello stato interno, che spingeranno l’animale a fare cose diverse (comportamenti adattivi e NON COMPORTAMENTI PROBLEMA).

Utilizzando le informazioni provenienti dall’ambiente (PERCEZIONI), in termini di odori, suoni, visioni, contatti, sapori, integrate con le informazioni dello stato del corpo, verrà adottato il comportamento in termini autoconservativi.

L’AVER CURA DI SE’, come ho scritto sopra, E’ UNA FUNZIONE FONDAMENTALE DI TUTTI I SISTEMI NERVOSI.

Ma come spieghiamo il prendersi cura dell’altro, o il non prendersi APPARENTEMENTE cura dell’altro, senza voler semplicisticamente far uso di uno spray (ossitocina).

Per la biologia evolutiva, nel corso dell’evoluzione, ulteriori strutture limbiche, oltre a circuiterie neuronali corticali capaci di garantire nuove memorie, hanno fatto si, che la mamma dei mammiferi si comportasse come se i piccoli appena nati fossero inclusi nel suo SPAZIO OMEOSTATICO FONDAMENTALE.

Essi vanno puliti, nutriti, tenuti al caldo, protetti dai pericoli del mondo, proprio come se fosse LEI a doversi nutrire, pulire, mantenersi al caldo ed al sicuro. Quando i suoi cuccioli stanno in pericolo, il loro benessere ha per lei lo stesso valore del suo benessere, utilizza dolore e paura per CORREGGERE UN COMPORTAMENTO, RENDENDOLO  ADATTIVO.

Nel corso dell’evoluzione si sono selezionati Sistemi Nervosi ove questo processo di “maternalizzazione cerebrale” si estendeva sempre di più.

Negli esseri umani (in molti mammiferi), la placenta fetale rilascia, all’interno del circolo sanguigno materno, una varietà di ormoni (ossitocina, ma anche prolattina, progestina, estrogeni) che hanno l’effetto di rendere materno quel cervello. Durante il parto l’ossitocina svolgerà, su altre strutture, altre funzioni (causa le contrazioni uterine). A sua volta, l’attaccamento di quel neonato sarà regolato da altri parametri vitali. Conìmincerà a registrare bene e male come segnali di allarme tipo “proteggi me stesso” nel suo tronco cerebrale e nel suo ipotalamo. Tali cambiamenti condurranno ad un repertorio di condotte correttive da parte dei circuiti dell’autoconservazione. Con la crescita, e con l’organizzazione di circuiti neuronali più evoluti, avrà assicurato comportamenti tipo “proteggi il mio” simili al “proteggi me stesso”.

Bisogna sempre tener presente che, se gli animali che sostengono i costi del “curarsi degli altri” non fossero compensati con maggiori benefici, con il tempo si estinguerebbero, mentre crescerebbe il numero degli animali che si curano solo di se stessi.

Il bambino autistico, la maggior parte delle volte, per un problema legato all’organizzazione delle sue circuiterie cerebrali, è troppo “impegnato” nel PROTEGGI ME STESSO, per poter attuare comportamenti del tipo PROTEGGI IL MIO.

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