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Gli autismi e le schizofrenie, i neuroni specchio ed i neuroni parvalbuminici.

All’inizio del XX secolo, e fino al 1950, i neuropsichiatri infantili, sulla base di una sintomatologia comune (anomala percezione del tempo, anomalie mnemoniche, anomalie della pianificazione e del controllo comportamentale o flessibilità mentale, impoverimento del linguaggio, deficit della concentrazione, ottundimento delle emozioni e, soprattutto, isolamento sociale) consideravano l’autismo una “schizofrenia infantile” ovvero, una forma di psicosi cronica che, inevitabilmente, sarebbe evoluta verso un quadro clinico di pseudo-demenza.

Appare evidente che, dopo le pubblicazioni di Leo Kanner (1943) che liberarono l’autismo dalla connotazione psicotica e demenziale, la comunità scientifica e le nascenti associazioni di genitori di soggetti autistici presero definitivamente le distanze dai tentativi di assimilare lo studio degli autismi all’interno dello studio delle schizofrenie.

Come è nel suo stile, il blog “autismo fuori dagli schemi” non intende emettere un giudizio in merito. Attraverso questo articolo vuole solo presentare, alle lettrici e lettori del blog, alcune considerazioni storiche e scientifiche affinchè ognuno possa sviluppare le proprie conoscenze e competenze, specie in un’ottica futura.

Oggi, la comunità scientifica considera la schizofrenia (colpisce l’1% della popolazione mondiale), come anche l’autismo, una condizione clinica secondaria a neurosviluppo atipico.

Come per l’autismo, anche per la schizofrenia sono stati identificati diversi fattori nello sviluppo della malattia. Ciò nonostante, nessuno è sufficiente a spiegarla da solo.

Alla schizofrenia sono state associate diverse mutazioni specifiche.

La più frequente è la delezione del cromosoma 22 (perdita di una grossa parte, comprendente una quarantina di geni, da questo cromosoma).

Allo stesso tempo, va detto che, due terzi dei soggetti portatori della stessa delezione (22q11) non si ammalano di schizofrenia.

La schizofrenia è stata anche correlata al cattivo funzionamento di altri geni (C4, NRGI, NR4A2) coinvolti nel cablaggio del Sistema Nervoso Centrale tuttavia, nessuna di queste anomalie geniche si è mostrata sufficiente per la comparsa dei sintomi della malattia.

Questo significa che, necessariamente, devono entrare in gioco altri parametri (fattori ambientali) per la comparsa della clinica della schizofrenia.

E’ questo il motivo per cui, attualmente, la comunità scientifica sta prestando molte attenzioni a tutti quegli eventi precoci che possono agire da substrato della malattia: infezioni in utero (sia come virus lenti che come capacità di modificare il sistema immunitario), particolari legati al travaglio (sia troppo rapido, sia stimolato da ossitocina), traumi perinatali, oltre che, l’esposizione ad alcune sostanze tossiche (percloroetilene) o a droghe.

Va detto che, tutti questi fattori (ambientali) non sono sufficienti a scatenare la malattia.

Infatti, la maggioranza delle persone, nonostante un parto distocico o che ingeriscono o respirano determinate sostanze, non si ammalano di schizofrenia.

Per questi motivi, la comunità scientifica, attualmente, come fatto per le epilessie più di trent’ anni fa, considera i quadri clinici di schizifrenia quali dipendenti dalla combinazione di diversi fattori genetici ed ambientali. Alcuni determinano la predisposizione, altri rappresentano il fattore scatenante dei sintomi.

Purtroppo, nel nostro paese, chiunque si prende cura di bambini con autismo deve registrare che le indagini diagnostiche, allo stato, sono notevolmente sbilanciate in direzione “genetica”, con scarsissima attenzione a tutti gli ipotetici fattori scatenanti.

Oltre che in termini eziologici, anche in chiave patogenetica si registra una differente velocità sul come sta marciando la ricerca nel campo delle schizofrenie rispetto al campo degli autismi.

Tra gli anni 80 e gli anni 90 dello scorso secolo, presso l’università di Parma, lo scienziato Giacomo Rizzolatti scoprì i neuroni specchio.

La maggioranza dei ricercatori che si occupavano di autismo non seppero fare di meglio che utilizzare tale scoperta per “giustificare” le apparenti difficoltà empatiche del soggetto autistico, dando vita alla fantasiosa teoria “dello specchio rotto”.

Mentre,  sul tentativo di comprendere quali proprietà biologiche caratterizzavano questi neuroni e se queste eventuali nuove conoscenze potessero farci progredire nella comprensione dei disturbi dello spettro autistico la maggioranza dei ricercatori non manifestarono molto entusiasmo.

Completamente differente è stato l’atteggiamento dei ricercatori nel campo della schizofrenia che, in questi ultimi anni, si sono sempre di più immersi nei meccanismi biologici che regolano il funzionamento del sistema nervoso dei pazienti colpiti dalla patologia.

Grazie a questi studi, di recente, hanno potuto verificare che, nel cervello delle persono con schizofrenia l’ippocampo e la corteccia prefrontale funzionano in maniera asincrona (memorie-pianificazione).

Pertanto, si sono interrogati sul perchè di tale asincronizzazione.

Hanno scoperto che, in condizioni fisiologiche, nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale i neuroni generano attività elettriche oscillatorie, mentre in patologia (schizofrenia), i neuroni pur mantenendo gli stessi livelli di attività, smettono di funzionare in maniera sincrona o coordinata.

E’ come se non comunicassero più bene tra di loro.

Un cattivo funzionamento dei neuroni contenenti parvalbumina sta alla base di questa asincronia.

Come i neuroni specchio rappresentano cellule nervose capaci di svolgere specifiche funzioni grazie al loro posizionamento all’interno di circuiti neuronali complessi, così i neuroni contenenti parvalbumina sono cellule nervose capaci di ridurre l’attività dei neuroni con i quali stabiliscono un contatto (neuroni inibitori).

Le neuroscienze, quotidianamente, dimostrano che per “essere normali” le reti neuronali devono essere sincronizzate, cioè l’attività di ogni neurone deve coincidere.

Quando su una predisposizione biologica, un fattore scatenante determina il malfunzionamento o un deficit di attività di piccole cellule nervose con funzione inibitoria, i neuroni parvalbuminici, il cui ruolo è proprio sincronizzare i principali neuroni dell’ippocampo e della corteccia prefrontale, quel soggetto vede dissociato il suo cervello anteriore da quello posteriore.

Le sue decisioni, i suoi comportamenti, non potranno che essere guidati che dal qui ed ora (attività sensori-motoria). Le sue memorie autobiografiche smetteranno di “votare” ogni qual volta dovrà prendere una decisione.

L’attività sensori-motoria ritorna a farla da padrone.

Dopo 100 anni gli studi sulla schizofrenia potrebbero aiutarci a comprendere meglio gli autismi.

Al di là delle etichette, non è un caso che trattasi di due patologie del neurosviluppo.

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