Uncategorized

La nostra finestra sul mondo, e su noi stessi: i sensi.

Negli ultimi due secoli, intrappolati in teorie analitiche, comportamentiste e cognitiviste, abbiamo dedicato scarse attenzioni allo studio dei nostri sensi. Eppure il mondo che tocchiamo, vediamo, ascoltiamo, gustiamo e annusiamo non è altro che uno dei tanti modi in cui la realtà potrebbe apparirci, poichè i nostri sensi FILTRANO le informazioni che giungono ai nostri cervelli.

Per questo motivo voglio, attraverso il blog “autismo fuori dagli schemi”, dare un pò di spazio ai nostri sensi.

La prima cosa che bisogna fare è quella di ripensare in termini moderni ai nostri sensi. Infatti, allo stato, dobbiamo considerare molto semplicistico il pensare che i nostri sensi siano la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto ed il gusto.

Infatti, ognuno di questi sensi altro non è che una complessa composizione di differenti sub-modalità sensoriali. Pertanto, specie il tatto, la vista e l’udito, dovrebbero essere considerati dei macrosensi.

Il tatto, ad esempio, che delimitando il confine del nostro corpo rappresenta il macrosenso che più ci identifica, è composto da molte submodalità sensoriali. Per questo motivo, le neuroscienze moderne concordano sul fatto che non esiste un tatto vero e proprio, ma tante differenti sensibilità (temperatura, vibrazione, propriocezione, dolore, epicritico, protopatico) che, integrate, ci forniscono la sensazione unitaria del tatto e, soprattutto, un’immagine complessiva del nostro corpo. Ovviamente, ogni submodalità sensoriale ha una sua via nervosa ed un recettore sensoriale specifico.

La seconda cosa che bisogna assolutamente conoscere è proprio legato al recettore sensoriale. Per comprendere la funzione del recettore dobbiamo prima comprendere cos’è, nella sua essenza, un senso. Quello che definiamo un senso, in ultima analisi, rappresenta un meccanismo biologico sensibile alle variazioni dell’ambiente interno ed esterno al nostro corpo. Queste variazioni non potrebbero provocare nessuna risposta da parte nostra se non ci fossero dei recettori capaci di TRASDURRE la variazione in energia nervosa. E’ grazie a queste “trasduzioni interne ed esterne” che uno stimolo può diventare dolore oppure delle vibrazioni possono diventare voce umana. Pertanto, i recettori trasducono “energie” in “energia nervosa”, che rappresenta “l’unico linguaggio che il nostro cervello sappia comprendere”. Un recettore sensoriale, dunque, trasduce energia luminosa o meccanica o chimica in energia nervosa, e la coinvoglia attraverso la via sensoriale al cervello. Inoltre, è talmente importante in quanto saprà garantire provenienza, durata, intensità dello stimolo, mentre le nostre cortecce sensoriali “aggiungeranno” la qualità.

Vediamo ora come vengono svolte queste mansioni.

La provenienza viene garantita da una proprietà biologica detta “campo recettivo”. Ogni recettore non fa altro che esplorare un pezzettino del nostro corpo o dell’universo intorno al nostro corpo e, pertanto, trasduce solo se lo stimolo coinvolge quel pezzettino di suo interesse. Il cervello consentirà a quel corpo di sapere da dove proviene “ lo stimolo”.

La durata dello stimolo è strettamente connessa ad un’altra proprietà biologica dei recettori: l’adattamento. In base a questa caratteristica si distinguono recettori a rapido adattamento e recettori ad adattamento lento. Restando nel campo degli esempi relativi al nostro macrosenso del tatto possiamo dire che, quando al mattino ci vestiamo avvertiamo i tessuti degli indumenti sulla nostra pelle. Poco dopo non avvertiamo più quella stimolazione anche in virtù del fatto che i nostri recettori specifici per quella sensazione si sono adattati. Gli stessi recettori si attiveranno al momento che toglieremo i nostri indumenti. I recettori a lento adattamento, invece, restano attivi per tutto il tempo in cui è presente lo stimolo.

L’intensità dello stimolo, contrariamente a quanto potremmo intuire, non dipende dalla forza dello stimolo che si traduce inevitabilmente in una forza dell’impulso nervoso. Infatti, l’impulso nervoso o potenziale d’azione ha un’ampiezza costante. Una volta generatosi, la sua ampiezza resta costante. Ed allora, cosa ci consente di distinguere una carezza da uno schiaffo? Le neuroscienze ci hanno dimostrato che i nostri nervi sono capaci di trasformare l’intensità di uno stimolo in frequenza di scarica di potenziali d’azione. I neuroni delle nostre cortecce cerebrali, a loro volta, in base alla frequenza di scarica dell’impulso nervoso forniranno a quel corpo le giuste informazioni sull’intensità dello stimolo.

La qualità dello stimolo è quella che ci fa distinguere un viso da una voce, il sapore del cibo dal profumo di una gardenia. Appare evidente che la qualità di uno stimolo non può prescindere dalla nostra esperienza e, dunque, è una funzione della nostra corteccia cerebrale. Le aree sensitive primarie della nostra corteccia cerebrale rappresentano il punto d’arrivo delle vie sensoriali. Sappiamo che esistono cortecce cerebrali specifiche per ogni microsenso e noi possiamo conoscere (cognizione) solo le informazioni che giungono in queste aree.

Viviamo in un’era ove non ci sono più dubbi, quello che possiamo conoscere (cognizione) è quello che è stato filtrato dalle nostre vie sensoriali, che inevitabilmente determina i nostri comportamenti.

Quando nel corso del neurosviluppo una noxa patogena dovesse modificare questo “filtro” anche i comportamenti potrebbero modificarsi.

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*