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ESSERE, SENTIRE, CONOSCERE

                           

Abbiamo conosciuto che la vita e la selezione naturale sono responsabili della moltitudine di creature intorno a noi, come pure della nostra presenza.

Sappiamo che la vita si è messa in viaggio da qualche miliardo di anni, procedendo per la maggior parte del tempo senza linguaggio o pensieri, senza ragione o creatività, senza mente o coscienza.

Infatti, gli organismi viventi “rilevavano”, e reagivano in maniera intelligente quando rilevavano, la presenza di un altro organismo nel suo complesso, o di una molecola situata sulla loro superficie.

E’ stato grazie a questo rilevamento ed all’adeguata risposta che la loro vita poteva perpetuare (lo può ancora in quanto questi organismi senza “cognizione” ancora sopravvivono).

Di certo, l’intelligenza di questi organismi semplici non si basava su una conoscenza esplicita ma su un’intelligenza non esplicita, capace di gestire la vita secondo le regole dell’omeostasi.

In tempi recenti abbiamo appreso anche un’altra cosa.

 Quando iniziarono ad affermarsi organismi pluricellulari e multisistemici comparvero i neuroni ed i sistemi nervosi, per coadiuvare l’omeostasi.

Oggi, grazie ai progressi delle neuroscienze, se dovessimo affermare che per “sentire” piacere e dolore, benessere e malessere, felicità e tristezza, dobbiamo possedere un sistema nervoso complesso, perchè è il cervello che permette di farlo, nessuno sarebbe in disaccordo. Infatti, è ormai chiaro a tutti che il sistema nervoso è necessario per generare sentimenti, conoscenza e funzioni mentali, o quant’altro ci ha resi umani.

Eppure, negli ultimi anni, il cognitivismo ha vacillato se non, addirittura, sprofondato.

 Per comprenderne il motivo basta fare riferimento ad una semplice considerazione scientifica: non si è trovata alcuna evidenza che il cervello, da solo, possa generare le nostre abilità tipicamente umane.

Si intuisce che, per progredire nelle conoscenze, bisogna superare gli approcci cognitivisti.

 Il mio suggerimento resta quello di fare riferimento alla biologia evolutiva e di iniziare con quanto afferma il famoso neuroscienziato Antonio Damasio: “il sistema nervoso è interamente localizzato all’interno del territorio corpo, inteso in senso stretto, di cui ha completa conoscenza”.

Si comprende che il sistema nervoso ed il corpo devono avere abbondanti e dirette interazioni.

Gli anatomisti ed i neurofisiologi ci mostrano che nulla di simile si riscontra nella relazione tra l’ambiente esterno al nostro corpo ed il nostro sistema nervoso.

Questa conoscenza è molto preziosa.

 Infatti, ci suggerisce che qualsiasi teoria cerchi di spiegare le abilità tipicamente umane ignorando il sistema nervoso è destinata al fallimento, giacchè il contributo del cervello è essenziale per la comunicazione verbale, per la socialità e per come “viviamo ciò che sentiamo”. Allo stesso tempo, qualsiasi teoria si basi solamente sul cervello per spiegare le nostre abilità tipicamente umane è destinata all’insuccesso. Questo perchè, se da un lato è fondamentale avere un cervello complesso, dall’altro è indispensabile conoscere cosa fa (esperienza) l’organismo e come questo fare viene trasdotto a livello cerebrale grazie alle abbondanti interazioni corpo-cervello (sia in termini enterocettivi che propriocettivi).

C’è un altro aspetto importantissimo, destinato a rivoluzionare gli approcci terapeutici/abilitativi nei pazienti con disordine del neurosviluppo.

Questa abbondante ed intima interazione corpo/ cervello, nel corso della crescita e dello sviluppo del cucciolo d’uomo fino a diventare adulto a tutti gli effetti, ripercorre in parte la filogenesi.

Abbiamo appreso che la storia degli organismi viventi ha imboccato diverse vie.

 La nostra storia (quella umana) è caratterizzata da almeno tre stadi evolutivi distinti.

 Un primo stadio evolutivo può essere definito quello dell’essere (formazione di un organismo, senza il quale non ci sarebbe alcuna storia), un secondo stadio possiamo definirlo quello del sentire (formazione di sistemi che collegano l’organismo con il suo ambiente), un ultimo stadio che possiamo definirlo del conoscere (l’organismo conosce l’ambiente, conosce sè stesso, fino a sapere di conoscere, e conosce che anche l’altro conosce).

La cosa che non dobbiamo mai sottovalutare è che questi tre differenti stadi (essere, sentire, conoscere) corrispondono a sistemi anatomici e funzionali differenti e, pertanto, separabili. Essi si sviluppano in epoche differenti (neurosviluppo), coesistono all’interno di ciascuno di noi umani, sono coinvolti nelle decisioni anche nella vita adulta e, soprattutto, condizionano lo sviluppo l’uno dell’altro.

 In ultima analisi, generano e condizionano il nostro sè.

Anzi.

 Abbiamo appreso che solo le operazioni coordinate e sincronizzate da parte delle strutture anatomiche che trattano le informazioni dell’essere, del sentire e del conoscere, possono consentire alle “rappresentazioni” di essere messe in relazione al nostro organismo (riferite ad esso e collegate al suo interno), cioè di diventare nostre.

Sappiamo bene che le “rappresentazioni” del nostro mondo interno sono atipiche. Esse sono generate da dispositivi neuronali, ma anche chimici, in una intima interazione a doppia circolazione.

La psicologia ha definito queste rappresentazioni con il termine di “sentimenti”.

 Dunque, la nostra mente possiede rappresentazioni provenienti dal mondo esterno e da “sentimenti”.

Quello che dobbiamo sempre ricordare è che tutte queste “immagini” (sentimenti, sensazioni, ricordi), che continuamente esperiamo nella nostra mente, sono mappe neuronali modellate con l’esperienza.

In altri termini, “circuiti mappati neurobiologici si convertono negli eventi mentali che convenzionalmente definiamo immagini”.

Ho voluto scrivere queste cose perchè sono sempre più convinto che la neurobiologia, la psicologia, i tecnici o clinici del settore, possiedono gli strumenti necessari, se non ancora per risolvere il problema dei bambini con disturbo dello spettro autistico, almeno per poter avvicinarsi alla soluzione del problema (cosa fare per migliorare nell’apprendimento della prospettiva e, dunque, del linguaggio e della relazione).

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