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Viaggiare nel cervello umano

                               

Il 6 novembre scorso, sul blog “autismo fuori dagli schemi”, ho publicato un articolo il cui titolo era: Dove nel cervello ha luogo la parcezione?

Leggendo quell’articolo si intuiva che non possiamo progredire nel processo di conoscenza dei disturbi dello spettro autistico senza comprendere cosa deve accadere nei nostri cervelli per consentire ai nostri corpi di percepire.

 Infatti, nell’era in cui operiamo, non è più accettabile liquidare la faccenda “percezione” continuando a sostenere che il cervello è troppo complesso (scatola nera) oppure che un modulo innato o un homuncolus consente alle sensazioni di diventare percezioni (passaggio dalla conoscenza implicita a quella esplicita o dichiarativa).

Leggendo quell’articolo, la prima cosa che abbiamo appreso è che il cervello umano ha un’organizzazione in parallelo.

Questo significa che ad ogni azione intrapresa da un corpo, oltre all’analisi neuronale dello stimolo sensoriale in entrata con la conseguente risposta motoria, in parallelo vi è l’analisi propriocettiva del cambiamento provocato dalla risposta motoria.

Quello che vorrei sottolineare, con l’articolo che state leggendo oggi, è che negli ultimi decenni i neurofisiologi hanno iniziato a delineare l’organizzazione del “filtro sensoriale” e, dunque, del cosa accade, in termini di attività neuronale, per ampliare il significato dell’informazione che raggiunge i cervelli (passaggio dalla sensazione alla percezione).

Partiamo da un esempio, mentre state leggendo quest’articolo il vostro cervello è bombardato da una moltitudine di sensazioni (astrazione di informazioni) che possono, in un istante, diventare percezioni (astrazione ad un livello più complesso delle informazioni).

 E’ per questo che possiamo sentire i nostri piedi che poggiano sul pavimento, il braccio che poggia sul tavolo, il ronzio del frigo, l’odore del caffè preparato da poco oppure il vedere la candela accesa sul tavolo.

Ebbene, dove sarebbero andate queste informazioni se la lettura di queste righe non avesse spostato la vostra attenzione (cioè se non avreste fatto questo)?

 Possiamo anche chiederci: dove vanno a finire le informazioni sensoriali che bombardano il nostro corpo continuamente senza mai diventare informazioni esplicite o dichiarative?

Dove è andata a finire l’informazione del mio piede che da mezz’ora toccava lo stesso punto del pavimento, ma solo da qualche istante io lo percepisco?

Di certo, una moltitudine di recettori muscolari ed articolari situati nel mio piede trasducevano specifiche informazioni in potenziali d’azione che vie nervose trasmettevano alle aree somatosensoriali del cervello (lo stesso vale per un’immagine visiva trasdotta a livello dei recettori retinici e trasmessa dal nervo ottico alla corteccia occipitale). Ma, allo stesso tempo, prendiamo atto che quell’informazione sensoriale non era sufficiente per averne conoscenza (percezione).

Si comprende facilmente che, per apprendere ed ottimizzare le nostre abilità, il filtro sensoriale deve svolgere un ruolo importantissimo. Per questo, i neurofisiologi negli ultimi anni hanno accettato la sfida.

Per provare a conoscere meglio l’organizzazione del “filtro sensoriale” i neurofisiologi hanno utilizzato la tecnica dell’elettroencefalogramma, mentre i volontari si sottoponevano all’ascolto di una serie di segnali acustici (risposte del cervello ai suoni in condizioni standard). In tal modo hanno potuto osservare che dopo 100 millisecondi dalla presentazione dello stimolo sonoro, sulle derivazioni delle cortecce temporali (aree sensoriali uditive), compariva un’onda di breve durata (a testimonianza che circuiti abilitati nell’elaborazione del suono si erano attivati). Successivamente, 300 millisecondi dopo la presentazione del suono, compariva una seconda onda elettrica, più estesa in ordine di durata, generata da gruppi di neuroni delle cortecce prefrontali (memorie) e della corteccia parietale (somatosensoriale). Durante questa fase i volontari riferivano di percepire il suono.

In una fase successiva i partecipanti ripetevano l’esperimento ma, questa volta, sotto ipnosi.

 In questo secondo caso la sequenza degli eventi eegrafici era totalmente differente.

 Infatti, mentre la prima onda era ancora presente, ad indicare che i potenziali d’azione generati dalla trasduzione dello stimolo sonoro erano stati trasmessi fino ai neuroni temporali che si sincronizzavano, la seconda onda (quella tardiva) non si generava. Questo a dimostrazione che il cervello dei volontari sottoposti a stimolo acustico in ipnosi non genera percezione (conoscenza dichiarativa), pur ricevendo l’informazione sensoriale uditiva.

In altri termini, se viene meno il propagarsi (collegamento) dell’attività elettrica generata dallo stimolo sonoro, poichè la corteccia uditiva si attiva mentre è assente l’attivazione delle aree parietali e prefrontali, il volontario riferisce di non sentire nulla.

I neurofisiologi ci hanno fornito le prove scientifiche che solo dalla sincronizzazione dell’attività elettrica di neuroni posti in aree differenti della corteccia (sempre devono essere coinvolti i neuroni somatosensoriali), dopo un primo relè nelle specifiche aree sensoriali, può generarsi la percezione.

 Pertanto, una corretta percezione richiede una corretta moltiplicazione neuronale, una corretta distribuzione dei neuroni corticali nei vari piani delle colonne corticali, un corretto collegamento tra questi neuroni.

 Voglio ricordare ai più appassionati che gli assoni che collegano i neuroni temporali con quelli parietali e somatosensoriali appartengono ai neuroni che popolano il III strato colonnare.

Le lettrici e lettori del blog “autismo fuori dagli schemi” conoscono molto bene che i bambini con disturbo dello spettro autistico non manifestano deficit percettivi (non percepivano in maniera tipica e poi, per una noxa patogena, percepiscono in maniera deficitaria.

 Questi bambini hanno un disordine dello sviluppo del processo percettivo.

Quel filtro sensoriale, che sempre meglio stiamo conoscendo, nei bambini con D.S.A. si è organizzato in maniera atipica.

 Questo perchè le connessioni tra aree cerebrali sono atipiche (già tra le aree corticali sensori-motorie ed i neuroni dei nuclei talamici c’è un disordine).

 Pertanto, le sincronizzazioni (onde elettriche) sono atipiche.

 L’astrazione della conoscenza (percezione) è atipica.

 La conseguenza è che gli apprendimenti sono atipici. Così come, i comportamenti sono atipici.  

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