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IL CERVELLO DEL BAMBINO AUTISTICO

Il blog autismo fuori dagli schemi offre alle lettrici e ai lettori il mio intervento al convegno del 3 e 4 novembre che si è svolto a Meta dal titolo: DISORDINE SENSI- MOTORIO, PERCEZIONE E INTEGRAZIONE SENSORIALE: IL TEMPO DI AGIRE

                           

-RINGRAZIAMENTI

-PRESENTAZIONE (questa storia nasce nel 1992 anche se il mio pregresso di NFP condiziona il tutto. Infatti, ricercavo i correlati neuro-elettrici che sono alla base dei disturbi della coscienza (epilessie) ed incontrai un personaggio, il dottor Carl H. Delacato, che dagli anni sessanta collegava la sensori-motricità con il neurosviluppo)

L’intervento che vengo a presentarvi, in effetti, trova la sua genesi nel 1906 quando Camillo Golgi e Santiago Ramòn y Cajal scoprirono la cellula nervosa o neurone, contribuendo così alla nascita della “Teoria del neurone”.

Fino ad allora i nostri comportamenti, le nostre azioni, erano stati considerati conseguenza della “forza” di spiriti oppure di fluidi oppure di pulsioni, a seconda delle varie epoche.

Ovviamente, la scoperta che il cervello, come tutti gli altri organi del nostro corpo, è formato da cellule (tessuto nervoso ovvero sostanza grigia e sostanza bianca), nell’arco di alcune decine di anni, ci consentì di conoscere che i neuroni, come tutte le cellule del nostro corpo, sono altamente specializzati (unità funzionali) e differenziati (unità genetiche), e che questa specializzazione consiste nel generare, condurre, e trasferire informazioni o variazioni del gradiente elettrico di membrana (potenziali d’azione).

 Siccome le cellule nervose sono anche unità anatomiche, deve esserci necessariamente uno “spazio comunicativo” o sinapsi ove la comunicazione viene regolata da un codice chimico (NT e R).

 Conoscenza che, come si può facilmente intuire, aprì la porta anche alla psicofarmacologia.

Appare quasi superfluo sottolineare che tutta questa mole di informazioni non poteva non modificare l’approccio clinico alle patologie delle nostre azioni o comportamentali.

E’ per questo che, nel corso della seconda metà del secolo scorso, abbiamo assistito al progressivo eclissarsi delle ipotesi psicodinamiche con il correlativo successo del comportamentismo prima e del cognitivismo poi (quest’ultimo favorito dal rapido progresso in ambito neuro diagnostico strumentale registrato tra gli anni sessanta e gli anni 80 del secolo scorso) (T.A.C., R.M.N.).

Negli ultimi vent’anni dello scorso secolo il cambiamento è stato ancora più radicale. Infatti, oltre al perfezionarsi degli esami neuro strumentali ed al fatto che si è potuto osservare anche l’organo (cervello) in funzione (fRMN), si è registra un grandissimo movimento nel campo delle neuroscienze (dalla biologia molecolare alla psicologia dello sviluppo) con la conseguenza che si rovescia totalmente la prospettiva, sia del modo di conoscerci (Conosci te stesso),per cui nasce la neuroeducazione, la neuropedagogia o neurodidattica, la neuroestetica, la neuroeconomia, ecc., sia del nostro modo di operare nell’ambito delle patologie del neurosviluppo (ne sono esempio i continui aggiornamenti dei DSM in merito all’autismo).

Provo ora a richiamare la vostra attenzione su 3 importantissimi studi di quegli anni che hanno letteralmente rivoluzionato il settore di cui ci stiamo occupando; anche se molti ancora non mostrano la volontà di riconoscere il cambiamento e, pertanto, non verranno riconosciuti dal cambiamento.

Nel 1981: Hubel e Wiesel ricevono il nobel per il loro contributo nel farci comprendere che l’esperienza sensori-motoria svolge, nei primi mesi di vita, un ruolo fondamentale nel processo di Organizzazione Neurologica (Ipotesi combinatoria sostituisce quella chemiotattica di Sperry)

Nel 1994, A. Damasio pubblica l’Errore di Cartesio e rovescia la prospettiva in quanto antepone lo “studio del corpo per comprendere come si sviluppa il pensiero” (sono, dunque penso). Con la revisione del caso “Phineas Gage”, getta anche le basi per definire il concetto di psicostato e neurostato.

Nel 2007, Benjamin Libet, quando tutto sembrava che doveva essere ricercato nei nostri “voluminosi” lobi frontali, pubblica un testo sul fattore temporale dimostrando che l’inconsapevolezza non solo esiste ma è un fattore importante per tutto quello che facciamo (mortificando definitivamente il cognitivismo senza la necessità di “risuscitare” la psicoanalisi).

E’ stato un tempo fortunato, molto bello da vivere, perché è grande il desiderio di “conoscere” la nostra natura. .

 E’ stato l’inizio di un nuovo tempo, un tempo in cui la guida è stata affidata alla Biologia Evolutiva.

Il dottor Delacato aveva avuto un ottimo “fiuto” in relazione al tempo in cui aveva operato (il tempo del comportamentismo e del cognitivismo) e aveva dimostrato di essere un grande clinico (Principi di Organizzazione Neurologica: l’ontogenesi ricapitola la filogenesi).

Io, invece, ho solo pensato che nel tempo in cui operiamo si possono trovare tutti i presupposti per gettare le basi per una teoria del cervello per l’autismo (richiesta dei soggetti con autismo, vedi Temple Grandin).

Ovviamente, non è un lavoro semplice e per questo ci siamo incontrati oggi.

La prima operazione da fare, forse la più faticosa, è quella di condurre l’autismo tra le condizioni biologiche.

 Pertanto, per prima cosa dobbiamo:

  1. saper riconoscere la clinica delle disconnessioni (deficit) da quella dei disordini (apprendimento adattivo atipico) e smettere di “parlare” di comportamento problema
  2. non lasciare l’interpretazione della clinica alla soggettività del tecnico ma affidarla ad un ragionamento fondato sulla anatomia e sulla fisiopatologia (Cosa è successo in quel cervello per non aver appreso il linguaggio? Cosa normalmente accade per apprenderlo?)
  3.  assolutamente non misurare ma diagnosticare.

E’ per tutto questo che siamo obbligati a ritornare a studiare, partendo dal tessuto nervoso (oggi, per il tempo a disposizione, non parlerò di glia ma questo non significa che sia meno importante).

Sappiamo di possedere 100 miliardi di neuroni, ed un numero molto maggiore di cellule gliali.

Sappiamo che i nostri neuroni sono di origine ectodermica e che cominciano a formarsi alla terza settimana di gestazione da cellule neuroepiteliali che subiranno un intenso processo di differenziazione fino a diventare neuroblasti prima e neuroni in ultimo.

Diventati neuroni, al quinto mese di gravidanza, smetteranno di proliferare (fine della neurogenesi).

A mano a mano che proliferano e si differenziano migrano dando forma al S.N.C.

La disposizione organizzativa dei neuroni è molto importante nel corso dello sviluppo, essa segue un programma che si è selezionato nel corso della filogenesi.

Abbiamo visto che in origine, come tutte le altre cellule, anche i precursori dei neuroni sono cellule “totipotenti”. Poi differenziandosi leggeranno sempre meno informazioni genetiche.

 Ma come viene regolato questo processo di alta specializzazione?

 Si è visto che è regolato dal posizionamento raggiunto e, dunque, dai contatti che il neurone stabilisce all’interno del circuito sensori-motorio.

Nel corso della filogenesi la Natura ha optato per un modello organizzativo nucleare (neuroni collegati con una specifica periferia sensori-motoria si super-specializzano e si posizionano in prossimità generando nuclei di neuroni abbastanza interdipendenti tra di loro).

Successivamente si è avuto, con i mammiferi, lo sviluppo della corteccia cerebrale che, essendo ricca di interneuroni, mostra un nuovo modello organizzativo (a rete), basato non sul neurone bensì sulla colonna.

Il cervello diventa esempio di specializzazione ed integrazione come non esiste in nessun modello sociale (Tonioni).

Per tutto questo, non possiamo progredire nella conoscenza senza studiare la colonna corticale e senza essere pronti nell’afferrare il concetto di ridondanza neuronale.

Cosa accade con la selezione esperienziale (lavoro di Hubel e Wiesel)?

Si selezionano e si integrano circuiti sensori-motori altamente specializzati garantendo all’organismo di astrarre un numero sempre maggiore di informazioni.

Immaginiamo che un cucciolo d’uomo porta i suoi “occhi” su un qualcosa che la mamma gli offre e che, ogni qual volta lo vede, “sente” la mamma che dice banana (sentire con gli occhi-vedere con le orecchie, agli inizi siamo tutti sinestetici).

Si intuisce che la selezione esperienziale va a permettere tutta una serie di tappe di sviluppo finalizzate a garantire all’organismo di astrarre sempre più informazioni dall’ambiente circostante (apprendimenti per adattamenti ad ambienti altamente mutevoli).

 Allo stesso tempo, l’organismo produce dei comportamenti o azioni che, oltre ad essere conseguenza dell’attivazione dei circuiti sensori-motori, provocano una riorganizzazione dei circuiti sensori-motori stessi (la propriocezione del muscolo-articolazione generata dalla risposta allo stimolo o, in altri termini, la modifica del tono muscolare in risposta allo stimolo).

E’ attraverso questa perpetua selezione esperienziale che svilupperemo dapprima il nostro modo di essere organismo (IO) e poi il nostro modo di vivere in gruppo (NOI) che, nella nostra specie, risulta fondamentale per la sopravvivenza di ogni IO.

Allora dobbiamo porci una domanda: in questo lungo tempo di selezione esperienziale o neurosviluppo (dura 18 anni) quale fase di questo processo (ovvero, quali circuiti sensori-motori) inizia a manifestare un disordine di sviluppo nel bambino che abbiamo di fronte?

Volendo fare un esempio molto semplice, la mancata inclusione del nostro bambino (disturbo della socialità) con disordine del neurosviluppo somiglia di più all’esclusione del calciatore che non gioca perché ha scommesso (sociale) oppure a quello che non gioca perché non conosce ancora bene la lingua parlata in quanto proviene da un altro continente (formativa) oppure a quello che non gioca perché non mostra alcuna intenzione di sacrificarsi per la squadra (educativo) o, ancora, non gioca perchè non riesce ancora a correre, calciare, partire, fermarsi, (fase individuale o sensori-motoria propriamente detta) come gli altri suoi coetanei?

Si intuisce che le “cure” proposte saranno differenti nei quattro casi.

Allora dobbiamo diventare molto bravi nel saper condurre l’indagine.

Mi sono occupato di cuccioli d’uomo che intorno all’anno di vita cominciano a manifestare segni e sintomi caratteristici: chiamati non si girano, difficilmente condividono lo sguardo, non lanciano paroline oppure regrediscono in questa abilità, mostrano scarsa flessibilità nei loro comportamenti.

 Molti di questi bambini, alcuni mesi dopo, vengono diagnosticati autistici e molti anni dopo, alcuni di loro, non svolgono una vita in autonomia.

Sovente la discussione dei tecnici ruota intorno a questioni contraddittorie e sterili che non possono non aumentare il senso di allarme provato dai genitori (consapevoli della prognosi).

Ad esempio, i tecnici sembrano più motivati a cercare di comprendere il ruolo della genetica nella genesi del disordine che non lo stato di salute del corpo, compreso il Sistema Nervoso che del corpo fa parte (lo si intuisce dagli esami che vengono richiesti). Inoltre, spesso attribuiscono la relazione “atipica” al ritardo del linguaggio oppure il ritardo del linguaggio al loro “isolamento”, trascurando che nel primo caso contraddiciamo al fatto che i sordo-muti comunicano mentre nel secondo caso stanno solamente spostando la questione.

Perché quel cucciolo d’uomo mostra quei segni che lo faranno diagnosticare “autistico”?

Innanzitutto, perché nel suo cervello i circuiti sensori-motori che mappano i segnali sensoriali provenienti dal corpo (tatto protopatico), da tutto il corpo esclusa la pelle (tatto epicritico), sono in “ipo”.

 In altri termini, il filtro sensoriale (neurone talamico-neurone corticale IV strato-neurone corticale VI strato-neurone del nucleo reticolare del talamo-neurone talamico) inibisce i messaggi propriocettivi che raggiungeranno gli specifici circuiti sensori-motori corticali.

La prima conferma alla nostra ipotesi, grazie ad una buona indagine clinica, la troviamo nel fatto che quel cucciolo d’uomo ha un’elevata soglia del dolore, assume posture molto atipiche, non apprende bene come usare il suo corpo (gesticolare, indicare, spogliarsi, vestirsi, lavarsi, aprire una bottiglia, una busta, ecc.).

La seconda conferma la troviamo nel fatto che mostra una serie di comportamenti secondari ad una esterocezione in “iper” (non ama essere sfiorato o tagliare le unghie, non ama i rumori, compresi quelli prodotti quando gli vengono tagliati i capelli, sente suoni quasi impercettibili a noi altri, ottima memoria visiva per oggetti, strade, ecc.).

Questo significa che siamo chiamati, innanzitutto, a fare diagnosi, cioè dobbiamo descrivere i neurostati primariamente coinvolti in questi bambini per poter modellare il miglior programma neuro abilitativo o di apprendimento possibile.   

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