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UN CABLAGGIO MOLTO PRECOCE

    

    “Sono trascorse solo otto settimane da quando uno spermatozoo e un ovulo si sono incontrati, e da quando ha avuto inizio la magia dell’epigenesi, ossia l’autoformazione di un essere umano. A due mesi di gravidanza l’embrione è lungo poco più di 1 centimetro, eppure a questa età esso possiede un sistema nervoso ormai notevolmente sviluppato.

 I suoi nervi, che si irradiano dal midollo spinale, raggiungono già i loro bersagli principali, così da ricoprirne l’intera superficie corporea.

 Le connessioni nervose si formano inizialmente su una base in buona parte genetica.

 In ciascuno di noi, per esempio, le mani sono innervate da tre nervi distinti: dal nervo radiale, che contatta la regione del pollice e dell’indice; dal nervo mediano, che ricopre in parte la stessa regione cutanea, ma che raggiunge anche il medio e l’anulare; e dal nervo ulnare che si proietta al mignolo e all’anulare. Questo gradiente di connessioni, di origine genetica, è visibile nelle prime settimane di gestazione. Tuttavia, con il trascorrere delle settimane, la componente innata lascia uno spazio via via maggiore alla componente acquisita.

 Nel ventre materno l’embrione comincia a muoversi. Queste contrazioni muscolari spontanee non sono organizzate né intenzionali, ma forniscono al cervello che sta sviluppandosi le informazioni sulla topografia del corpo. Permettono alle scariche nervose di risalire lungo i nervi sensoriali, e di correlarsi fra loro: due assoni che provengono da regioni prossime del corpo, come il gomito e l’avambraccio, hanno più probabilità di scaricare insieme rispetto a due connessioni casuali.

 Non serve altro affinché, in utero, la corteccia cominci a formare una mappa del corpo.

 Ancora prima di nascere, il nostro primo apprendimento è già cominciato

. E’ quello dei nostri confini”.

Questa pagina è stata scritta da Stanislas Dehaene (Vedere la mente, Raffaello Cortina Editore, 2022).

 Il blog “autismo fuori dagli schemi”, attraverso la lettura di questa pagina, vuole ricordare alle lettrici ed ai lettori del blog che solo partendo da questa conoscenza scientifica è possibile iniziare a costruire una “Teoria del cervello” applicata all’autismo (richiesta fatta dagli stessi soggetti con autismo, vedi Temple Grandin).

Le moderne neuroscienze non hanno dubbi.

 La nostra specie rappresenta l’espressione più alta di un trucco scoperto da madre natura: non è necessario programmare subito tutto il cervello, ma solo fornirgli i mattoncini essenziali e poi mandarlo nel mondo.

Ripartendo dall’ultimo articolo, “il cervello è un organo cablato dal vivo”, il nostro cervello non è programmato per intero ma viene “plasmato” man mano che interagisce con il mondo.

 In altri termini, il cervello viene al mondo poco organizzato. Per un’organizzazione adeguata ci vogliono input sensori-motori adeguati.

Da questa prospettiva, il cervello può essere compreso solo studiandolo come un sistema dinamico, ove comprendere il modo in cui le sue parti interagiscono è ancora più affascinante del semplice studio delle singole parti.

 Esso è capace di modificare costantemente i propri circuiti per rispondere alle caratteristiche dell’ambiente e alle capacità del corpo, anch’esso appreso dal cervello.

E’ per questo che i collegamenti (sinapsi) tra i neuroni fioriscono, muoiono e si riconfigurano senza sosta.

 In fin dei conti,la nostra genetica si fonda su un semplice principio: non necessitiamo di una struttura rigida, ma di un sistema che si adatti al mondo circostante.

E’ per questo che, quando impariamo una cosa (anche quello che stiamo leggendo) il nostro cervello cambia strutturalmente ma non può cambiare se l’esperienza non viene fatta.

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